Meris guarda avanti: «Non passo professionista e sarò l’unico elite della Colpack-Ballan»

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Sergio Meris in azione nella tappa regina del Valle d'Aosta, poi vinta (foto: Courthoud)
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Dopo l’assolo nella tappa regina del Valle d’Aosta, vedere Sergio Meris approdare tra i professionisti sembrava una formalità. Quel giorno vinse con 1’08” sul secondo, Rafferty, che avrebbe poi conquistato la classifica generale della gara dopo aver chiuso secondo al Giro (lui sì che ce l’ha fatta, ha firmato un biennale con la Ef). Oltre a Rafferty, Meris si lasciò alle spalle anche del Toro, futura maglia gialla al Tour de l’Avenir, e Faure-Prost, quinto e maglia bianca al Giro, il campione francese degli Under 23.

Ma nemmeno questi scalpi, invece, gli sono valsi un ingaggio nella massima categoria. Sergio Meris non ha (per il momento) coronato il suo sogno e rimarrà alla Colpack, unico elite della formazione bergamasca.

Sergio, quanto ti è dispiaciuto non trovare una squadra disposta a darti una chance?

«Diciamo che ho accarezzato la possibilità di saltare dall’altra parte, ma poi non si è concretizzato niente. Ogni squadra prende le sue decisioni e noi corridori non possiamo fare altro che prenderne atto. Da parte mia posso dire d’aver sbagliato dopo il successo al Valle d’Aosta: mi sentivo benissimo e negli allenamenti ho esagerato, logorandomi da solo. Se avessi gestito meglio l’enfasi e di conseguenza anche me stesso, il finale della mia stagione ci avrebbe guadagnato».

Dopo il Valle d’Aosta, sesto alla Bassano-Montegrappa, secondo a Rovescala e undicesimo alla Parigi-Tours.

«Finito il Giro del Friuli ero molto stanco, fisicamente e mentalmente. Ma un paio di settimane di recupero mi hanno permesso di rinfrescarmi e di chiudere bene l’annata col piazzamento internazionale alla Parigi-Tours. E’ stato bello e divertente sentirsi passisti per un giorno. E qualche indicazione l’ho raccolta: sui percorsi selettivi perché tecnici, diciamo da classiche veloci, me la cavo meglio di quanto credessi».

Quinto alla Per Sempre Alfredo dei professionisti, quarto al Piva, decimo al Belvedere e al Recioto, nono a San Vendemiano, ottavo nella quarta tappa del Bretagne, secondo al De Gasperi, terzo e quarto in due frazioni del Giro, sesto al campionato italiano: magari avrai qualche rimpianto, ma la costanza non ti è mancata.

«Sì, di rimpianti ne ho più di uno. Alla Per Sempre Alfredo ho fatto quinto in volata senza nemmeno dare il colpo di reni, altrimenti un posto sul podio potevo giocarmelo. Al De Gasperi marcavo Rafferty perché lo reputavo il più forte, e lo era: ma in salita, non in volata. Così, quando sono partiti Belleri e De Pretto, io ho traccheggiato un attimo di troppo e alla fine sono rientrato sui primi due quando ormai era troppo tardi e lo sprint era già stato lanciato».

I tuoi rimpianti sono figli dell’attendismo o dell’eccessiva generosità?

«Io alla Colpack faccio il capitano dallo scorso anno, ma nella mia carriera non sono mai stato un vincitore seriale. Quindi, in certi momenti, faccio ancora fatica a leggere bene la gara e ad avere quel killer instinct fondamentale quando si arriva alla resa dei conti. A volte ce l’ho, altre volte no. Sono un corridore che pensa tanto, troppo, e mi capita di perdere il momento giusto. Perché poi quando ho attaccato ho vinto, non dovrei mai scordarlo. Però credo sia normale, quando si fa la gavetta e si passa un bel po’ di tempo a lavorare per gli altri non è facile trasformarsi in leader. Ci vuole tempo».

Il momento più bello della tua stagione rimane il successo alla Valle d’Aosta?

«Senza dubbio, anche per il modo in cui è maturato. Ai piedi dell’ultima salita, un’ammiraglia di un’altra squadra mi ha tamponato la ruota posteriore costringendomi a mettere il piede a terra e ad aspettare il cambio-ruote. Non volevo crederci, mi sono detto: perché capitano tutte a me? Ma dopo un attimo è subentrata una cattiveria agonistica senza precedenti, non mi ero mai sentito così deciso e sicuro dei miei mezzi. Valoti, in ammiraglia, era anche più concentrato di me. Sono rientrato sui primi, a due chilometri dal traguardo ho accelerato e ho fatto il vuoto, rifilando un minuto in un chilometro ai più immediati inseguitori. Una giornata stupenda».

Sarai dunque l’unico elite della Colpack?

«Esatto. Io qui mi sento a casa, non aveva senso cambiare squadra e anzi, sono grato all’ambiente per continuare a credere in me. Sono sicuro d’avere ancora tanto da dare, non ho assolutamente raggiunto il massimo delle mie possibilità. Il prossimo anno vorrei correre perlopiù coi professionisti, ormai è con loro che devo mettermi in mostra e farmi valere. Certo, serviranno una programmazione e una preparazione più mirata: soltanto in questo modo posso pensare d’essere competitivo anche con loro, a quei livelli non s’improvvisa niente».