Dalle caprette di Pinot allo sguardo di Vingegaard: cinque motivi per vedere la serie di Netflix sul Tour de France

Tour de France
Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar nella tappa di Peyragudes al Tour de France
Tempo di lettura: 3 minuti

Mancano poco più di un paio di settimane alla partenza del Tour de France, ma su Netflix gli appassionati di ciclismo possono rivivere la corsa del 2022 nella serie in otto episodi: Tour de France, sulla scia dei campioni. Da Copenaghen a Parigi il racconto delle tappe si incrocia con quello dei protagonisti: immagini spettacolari, narrazione epica, riprese spesso accelerate per aumentare il pathos (a cominciare dalle cadute), ma anche rallentate come sull’Alpe d’Huez quando Pidcock penetra tra due ali di folla e racconta: «Sembrava che il Mar Rosso si aprisse davanti a me». E’ come assistere a un film del quale si conosce già il finale. Allora perché rivederlo? Proviamo a darvi cinque motivi.

Tour de France

Sul lettino dei massaggiatori

C’era una volta il ciclismo in cui i giornalisti intervistavano i corridori durante i massaggi, quel momento in cui la tensione si scioglie insieme alla fatica dei muscoli e gli atleti sono a nudo in tutti i sensi. Ebbene quel ciclismo non c’è più e non solo per il covid. Già da molti anni i filtri degli uffici stampa hanno stretto le maglie intorno alla privacy dei corridori. Le telecamere di Netflix hanno invece avuto via libera nelle stanze dei massaggiatori, quando si tirano le somme della giornata e i direttori sportivi ne approfittano per qualche comunicazione delicata. Una per tutte? Quando dopo la tappa di Calais vinta da Van Aert, il diesse Grisha Niermann gli dice: «Jonas (Vingegaard, ndr) non è stato contento oggi della tua corsa».

Una storia a lieto fine…

Il racconto delle imprese del Tour de France si incrocia con le storie dei protagonisti. Tiene banco la prima vittoria al Tour di Fabio Jakobsen, il miracolato, l’olandese che due anni prima si era schiantato contro le transenne al Giro di Polonia. Lui stesso fa la conta dei suoi numeri: dieci denti rotti, oltre cento punti di sutura al volto, il palato che non esisteva più. Alla voce di Fabio si alterna quella di Patrick Lefevere, storico manager del “Wolfpack”. Vuole che Jakobsen vinca subito, alla prima occasione, la tappa di Nyborg. Nella riunione del mattino (altra chicca della serie tutti i momenti catturati sui pullman prima delle tappe, come quelli all’interno delle ammiraglie) il mandato è chiaro: proteggere Fabio. Nemmeno una caduta della maglia gialla Lampaert, uomo preziosissimo per l’olandese, rovina un disegno perfetto e una storia a lieto fine.

Pinot allatta la capretta

Pinot

Tanta Francia e non poteva essere altrimenti. Ma soprattutto c’è tanto Pinot, l’uomo della Groupama-Fdj che il suo manager Madiot descrive così: «Un corridore romantico sperduto in un mondo moderno». Per entrare nell’universo “bucolico” di Thibaut le telecamere lo seguono nella fattoria di Melisey, dove vive fra le sue capre e i suoi asini. La scena in cui Pinot allatta una capretta è imperdibile. Tutto era stato costruito in vista di una possibile vittoria sulla Planche des Belles Filles, a 20 chilometri da casa, la prima salita fatta da Pinot bambino. Un sogno però rimasto irrealizzato.

Lacrime a go go

Come in tutti i feuilleton che si rispettano (e questa docuserie lo è) grande spazio alle lacrime. Per le vittorie, per la fatica, per le cadute. Colpiscono quelle di Florian Senechal sul traguardo di Peyragudes. Insieme ai massaggiatori e ad altri compagni si ferma ad aspettare e incitare Jakobsen che incalzato dal camion scopa sta per finire fuori tempo massimo. L’olandese si salva per 15 secondi e tagliato il traguardo si accascia sulle transenne. E lì che entra in scena il campione di Francia col suo pianto a dirotto: «Siamo amici, so io quello che ha passato…».

Quello sguardo di Vingegaard…

A proposito di lacrime, quelle che hanno riempito gli occhi di Van Aert quando ha capito che Vingegaard aveva rallentato nella crono di Rocamadour, le hanno viste in diretta tutti. Grandi abbracci tra i due con il danese in maglia gialla che aveva chiesto all’ammiraglia di essere avvertito: se la vittoria della crono fosse stata un affare tra lui e Wout gliel’avrebbe lasciata. Tutto bene quel che finisce bene, perché invece quello che non si era mai visto finora era lo sguardo gelido di Vingegaard la sera a tavola dopo la tappa di Calais. Abbiamo già detto di come ai massaggi Van Aert avesse appreso della contrarietà del suo capitano. Non gli era piaciuto il fatto che Wout fosse andato a vincere la quarta tappa disinteressandosi di lui. «Spero che si renda conto che il nostro obiettivo è la maglia gialla e non una vittoria di tappa», dice il danese a denti stretti. Quello sguardo catturato dalla telecamera dice tanto delle dinamiche all’interno di una squadra e forse vale da solo la visione della serie.