Bruttomesso: «In salita tengo di più, ma per crescere ancora devo continuare a correre all’estero»

Bruttomesso
La prima vittoria del 2023 di Alberto Bruttomesso. Il 19enne vicentino si è imposto in volata nel Gp Misano (foto: photors.it)
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Quando, tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di quello attuale, il Cycling Team Friuli è andato in ritiro in Spagna appoggiandosi alla Bahrain-Victorious, ad Alberto Bruttomesso è dispiaciuto soprattutto non trovare Sonny Colbrelli.

«Se avessi dovuto scegliere un loro corridore da osservare, non avrei avuto dubbi: sarei andato su di lui. Perché è veloce e resistente, come me, anche se per arrivare al suo livello di pastasciutta devo ancora mangiarne. E poi perché ha vinto la Parigi-Roubaix, che per me è la gara delle gare. Non l’ho mai fatta. Potevo provarci tra gli juniores, ma la pandemia non ha aiutato. Ho visto che è tornata in calendario quest’anno, ma sinceramente non credo nemmeno che la mia squadra sia iscritta. Domenica, siccome correvo in Francia al Circuit des Ardennes, ho fatto giusto in tempo a vedere gli ultimi venti chilometri: praticamente da quando Van Aert ha forato e Van der Poel ha attaccato. Almeno il momento decisivo non me lo sono perso».

Alberto, pochi minuti prima avevi chiuso al terzo posto l’ultima frazione dell’Ardennes: una corsa a tappe di buon livello.

«Un’esperienza prestigiosa resa ancora più significativa dalla maglia azzurra che indossavo. Alla vigilia, guardando le altimetrie, avevo messo nel mirino due tappe: la prima e l’ultima. Alla partenza di quella inaugurale mi sentivo benino, sarò sincero, ma poi col passare dei chilometri ho iniziato a sentirmi ingolfato e ho capito che non era giornata. Nella seconda, nonostante quasi 3.000 metri di dislivello, sono rimasto coi migliori fino a pochi chilometri dall’arrivo. Nella terza, invece, ho fatto gruppetto pensando alla quarta».

Sei soddisfatto o hai qualche rimpianto?

«Soddisfatto, anche se vorrei sempre vincere. Sull’ultimo strappo ho scollinato poco dopo la ventesima posizione. I primi avevano guadagnato un leggero vantaggio, ma ci siamo ricompattati in discesa. Nel finale non ho sbagliato niente: ho imboccato in seconda ruota l’insidioso circuito cittadino e sono uscito in terza posizione dalla curva finale, mentre quand’era il caso di nascondersi per non prendere troppa aria mi sono lasciato sfilare. Mi sono mosso bene. Chi ha vinto, ovvero Lamperti, ha già corso tra i professionisti al Tour of Britain e al Gran Camiño».

Prima, all’estero, esperienze contrastanti: secondo in Istria, ritirato alla Youngster e alla Gand.

«Mi è dispiaciuto non vincere in Slovenia, ma quando un avversario ti batte al fotofinish nonostante il colpo di reni con chi ti vuoi arrabbiare? Fino a venti metri dal traguardo ero in testa, poi mi ha sorpassato. Ero scocciato, ho dovuto incassare. In Belgio, invece, non ho avuto per niente fortuna. Alla Youngster, ai piedi del Kemmelberg, mi sono caduti davanti, sono stato costretto a mettere il piede a terra e per un contatto mi si è incastrata la catena nei raggi. Ho perso un minuto per disincastrarla e dopodiché ho inseguito, ma ormai era andata. E alla Gand è stata una giornataccia, ho pagato il meteo da lupi. Tutta esperienza, diciamo così».

Comunque il tuo inizio di stagione è stato positivo: secondo alla San Geo, al Polese, al De Nardi e in Istria, primo a Misano.

«Sarò sincero, sono molto contento e forse non immaginavo nemmeno di cominciare così bene. Ho trascorso un inverno sereno e senza intoppi, e i due ritiri in Spagna hanno aiutato. Non aver più il pensiero della scuola vuol dire tanto: adesso posso allenarmi di mattina, mentre fino allo scorso anno dovevo fare i conti con le ore di luce e le ore di buio. Passo più tempo in sella, poco ma sicuro, e i risultati si vedono».

Ci sono differenze tra il Cycling Team Friuli e la Zalf, in cui correvi fino alla passata stagione?

«Mi trovo bene qui come mi trovavo bene di là, sia ben chiaro, non voglio fare polemiche. Entrambe le squadre sono attrezzate e ambiziose, lo testimonia la loro storia. Certo è che il Friuli è una realtà particolare. All’avanguardia, direi. I direttori sportivi sono molto giovani e secondo me questo è un bene, c’è meno distanza e ci si capisce meglio. A volte capita di fare le riunioni in inglese, perché ho dei compagni stranieri. E d’inverno non sono mancati degli approfondimenti: non soltanto sul ciclismo, ma anche su noi stessi. Chi siamo, cosa vogliamo, dove stiamo andando. Oppure si analizzano certe situazioni di gara. Della serie: tu in questo frangente come ti muoveresti?».

Però sono aumentate le trasferte all’estero: è un dato di fatto.

«Senza dubbio. Non voglio mancare di rispetto alle gare italiane, ma il livello medio del calendario internazionale è molto più alto. Non c’è quasi paragone, fatta eccezione per alcune corse. Si sgomita anche a cento chilometri dalla fine, le velocità sono più elevate, i freni si tirano il più tardi possibile. Ci si stressa maggiormente, si capisce, ma questo è, prendere o lasciare. Non è come in Italia, la corsa non la fanno soltanto venti o trenta corridori. Tutti provano a stringere i denti e a guadagnare una posizione migliore, anche quei corridori che sanno che difficilmente potranno vincere. E’ proprio un’idea differente di ciclismo, non so se mi spiego».

E a te cosa manca per far parte di questo mondo con costanza?

«La costanza, per come la vedo io, si acquisisce soprattutto con l’esperienza. L’anno scorso ne ho fatta poca, quindi sto recuperando adesso. Il 25 aprile sarò a Roma per il Liberazione, poi il 1° maggio correrò a Francoforte. Rispetto alla passata stagione mi sento più forte in salita, ad esempio. Per il resto, estero estero estero: soltanto gareggiando coi migliori posso sperare d’arrivare il più pronto possibile il prossimo anno nel World Tour con la Bahrain».