Fiaschi si ferma: «Il fuoco si è spento, ma in futuro vorrei prendere il tesserino da direttore sportivo»

Fiaschi
Matteo Fiaschi in azione durante la Vicenza-Bionde (Foto: fornite Petroli Firenze)
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L’anno scorso, il suo secondo tra i dilettanti e il primo nella Petroli Firenze-Hopplà-Don Camillo di Matteo Provini, Matteo Fiaschi aveva lasciato intravedere dei lampi interessanti: decimo alla Popolarissima e alla Bolghera, nono a Possenta, ottavo alla Vicenza-Bionde, settimo a Sannazzaro quinto alla Pasqualando e allo Zanchi, quarto al Visentini, terzo al Porto, finalmente primo a Lastra a Signa. Non un campione, magari, ma uno sprinter dotato di un ottimo spunto veloce sul quale si poteva ancora lavorare.

Un anno più tardi, all’inizio della stagione più decisiva della sua carriera, Matteo Fiaschi ha preso una decisione a suo giudizio definitiva: smette.

«E non tra chissà quanto: subito, adesso, anzi si può dire che ho già smesso. Infatti, dalla prossima settimana, inizio a lavorare. Dove? Al McDonald’s. Alcuni rideranno e scuoteranno la testa, già lo so, ma intanto uno si rifà da una parte e poi vediamo quello che succede. Ho conosciuto la direttrice, è una ragazza intelligente e apposto. Io sarei perito elettronico, ma cercavo un lavoro part time da coniugare con gli studi universitari. Siccome in quell’ambito sapevo di non trovare nulla del genere, mi sono guardato intorno. La prima impressione è buona: mi verranno incontro con gli orari, potrò usufruire di alcuni permessi studio. E’ la mia vita che ricomincia diversamente».

Matteo, perché hai deciso d’interrompere quella ciclistica?

«Quest’anno, praticamente, ho corso solo la San Geo. Già la sera prima ero raffreddato, di notte mi svegliavo ogni due ore, e nonostante questo ho portato a termine la gara nel gruppo degli inseguitori. Niente di clamoroso, ma tutto sommato ero soddisfatto. Il giorno dopo avrei dovuto correre a La Torre, in Toscana, ma nel viaggio di ritorno mi è salita anche la febbre e non se n’è fatto più niente».

E poi?

«La settimana successiva non ho toccato la bici. La mattina di domenica 5 marzo, il giorno dopo la Strade Bianche, sono andato a correre a piedi. Ma sentivo che qualcosa in me era cambiato. E poi si arriva allo scorso weekend: avrei dovuto correre nelle Marche, fino all’ultimo ho detto a Provini e ai miei compagni che sarei andato e invece non ce l’ho fatta, mi sono tirato indietro. Scusandomi, ovviamente, perché avevo mancato di rispetto a tutti».

Perché hai deciso di smettere?

«Forse è più corretto parlare di sensazioni che non di motivi, perché in fin dei conti non è successo niente. La mattina, quando mi svegliavo, sentivo un peso: allenarmi e pensare ai lavori e alle tabelle era diventato un pensiero. Dopodiché c’è stata anche una discussione con Provini e a quel punto ho seriamente cominciato a riflettere sul mio futuro».

Cosa vi siete detti?

«Preferisco che rimanga privata, tra l’altro il pretesto non era né importante né grave. Diciamo che, con la sua consueta schiettezza, Matteo mi ha detto alcune cose innescando certe riflessioni. Però ci tengo a precisare che non smetto per colpa sua. Anzi, forse involontariamente con le sue parole mi ha dato una scossa. Ho iniziato a guardare in faccia la realtà: non ero più il Matteo Fiaschi di prima, mancavano certi stimoli».

Non avevi avuto avvisaglie?

«Assolutamente no, l’inverno è stato sereno e prolifico ed è passato in un lampo. Forse il mio miglior inverno da corridore. In molti mi hanno detto: ma come, smetti proprio adesso che comincia la stagione? E i sacrifici degli ultimi mesi cosa li hai fatti a fare? Sinceramente è un’osservazione che mi innervosisce: allora cosa avrei dovuto fare, continuare controvoglia fino a fine anno soltanto perché mi sono preparato bene d’inverno? Nei mesi scorsi ho fatto certi sacrifici perché ero ancora convinto di quello che volevo, quindi non ho nessun rimorso».

E di rimpianti, invece?

«Se mi baso sui valori degli allenamenti, mi viene da pensare che la stagione sarebbe potuta essere brillante. Magari, tra qualche mese, mi maledirò per la decisione che ho preso, ma in questo momento mi sembra quella giusta e quindi vado avanti per la mia strada. Tra l’altro sono un tipo abbastanza cocciuto, una volta che mi metto in testa un’idea è difficile che la cambi».

Nessuna gara che ti ha lasciato l’amaro in bocca, quindi?

«Quest’anno mi sarebbe piaciuto tornare al Porto e puntare al successo, anche se forse vista la presenza di Gomez non sarei stato il velocista principale. Nel 2022 arrivai terzo, i presupposti per riprovarci c’erano. Ma il mio cerchio lo considero comunque chiuso con la vittoria di Lastra a Signa: almeno ne ho centrata una, dando un senso all’impegno e ai sacrifici fatti».

Cosa ti piacerebbe fare in futuro?

«Magari il mediatore linguistico, perché no. Studio Lingue a Firenze: russo, inglese e francese. Sono al primo anno. Viaggiare mi è sempre piaciuto, ma facendo il corridore è quasi impossibile, si fanno una marea di trasferte e pochissimi viaggi e vacanze. Però non nascondo che rimanere nel ciclismo con un ruolo diverso non mi dispiacerebbe. E’ probabile che prenda il tesserino da direttore sportivo. Ne parlavo con Balducci proprio qualche giorno fa, mi ripeteva che c’è un gran bisogno di volti giovani in gruppo».

La tua è una decisione legata unicamente alla sensibilità e alla voglia, oppure è anche l’ambiente ad averti scocciato?

«In questi giorni ho preso la bici soltanto una volta e sono andato a passeggio con mia mamma, tanto per essere chiari. Ma è un momento, non ho la nausea, continuerò a pedalare e guardare le corse. Per quanto riguarda l’ambiente, lo trovo particolarmente esasperato ed esigente. Bisogna essere sempre al massimo, non sono permesse battute a vuoto. Il ciclismo è uno sport durissimo, non per tutti: evidentemente nemmeno per me, difatti ho preso un’altra strada».