Rabbaglio: «L’Arvedi è nata per scommessa, per rilanciare la pista serve far gareggiare i più piccoli»

Massimo Rabbaglio con i suoi ragazzi dell'Arvedi Cycling (foto: Arvedi)
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Il ciclismo su pista è un vortice di emozioni, che ti avvolge e travolge nello spazio di un velodromo. Due rettilinei e due curve inclinate dove sfidare la forza centrifuga, tra velocità e endurance, fra specialità individuali e di squadra. Lo sport della bici a scatto fisso ha catturato fin dalla prime pedalate da atleta Massimo Rabbaglio.

Presidente dell’Arvedi Cycling, il lombardo non si è più separato dal parquet dei velodromi, arrivando a fondare un progetto dedicato interamente alla pista. «Tra il 2016 e il 2018 ero un direttore sportivo nella Biesse-Carrera e al tempo stesso gestivo anche il settore giovanile della Arvedi, tra allievi e juniores – racconta Rabbaglio – Fin da quando ero un giovane corridore sono sempre stato attratto dalla pista, sia come disciplina che come ambiente. Alla Biesse avevo in squadra Stefano Moro che frequentava già i velodromi e confrontandomi con lui mi è balzata in mente l’idea di creare una squadra composta da soli pistard. Una proposta nata quasi per gioco, si è consolidata presto nel 2019 coinvolgendo l’azienda Arvedi che ci ha subito appoggiato. Parlai con altri ragazzi che in quel momento erano nel giro della nazionale, come Davide Plebani, Attilio Viviani, Francesco Lamon, Carlo Giordani e Diego Bosini, passato tra i dilettanti quell’anno».

E insieme vi siete lanciati in questa scommessa…

«Sì, quasi un azzardo ma ho visto che i ragazzi credevano nel progetto e mi sono aggrappato alla loro fiducia. Era l’aspetto più importante e non è mai mancato. Quindi è stata una scommessa fatta con serenità. Alla fine si è creato un gran gruppo e in quel primo anno, oltre a compiere un bella stagione su pista come da priorità, abbiamo anche ottenuto tredici vittorie su strada. Da lì l’entusiasmo è salito: nel 2020 e nel 2021 abbiamo continuato il percorso parallelo con la Biesse, ma dallo scorso anno procediamo in autonomia».

Come riuscite a portare avanti con buoni risultati sia l’attività su pista che quella su strada?

«Portare avanti sia il settore endurance della pista che la strada non ha controindicazioni. Sono due attività che vanno a braccetto e non è difficile condividerle. A ridosso degli appuntamenti importanti su pista, tutti si concentrano su quest’ultima e gli allenamenti sul parquet si intensificano, accantonando un po’ la strada».

Dunque chiara priorità alla pista per tutta la stagione…

«Sì, i nostri ragazzi possono svolgere l’attività su pista a 360°. Rispondono a qualsiasi convocazione o allenamento della nazionale. Dopodiché per qualcuno la strada è un complemento della pista e la usa per allenarsi in vista degli obiettivi nei velodromi, per altri è una prospettiva importante in cui sfondare. Ad esempio Mattia Pinazzi potrebbe dire la sua anche su strada e ci sta credendo per il passaggio al professionismo. Altri giovani capiranno quest’anno se possono dedicarsi a pieno alla pista oppure devono fare altre scelte».

Come affiancate concretamente la pista alla strada?

«Decidiamo insieme al c.t. Marco Villa. Ad esempio prima degli Europei su pista diversi ragazzi sono andati alla Vuelta a San Juan con la maglia della nazionale. Se ci fossero state gare in Italia le avremmo corse, al fine di guadagnare un po’ nel fondo. L’obiettivo principale è quello. Prima dei mondiali ad agosto infatti parteciperemo a diverse gare italiane su strada».

Immaginiamo che con Villa ci sia una grande sintonia, radice di una collaborazione essenziale per voi e la nazionale. È così?

«Villa sa benissimo che i nostri ragazzi sono a sua piena disposizione. Tutti quelli che ritiene pronti alla maglia azzurra può chiamarli quando e come vuole. Credo che sia un vantaggio anche per lui: ha la serenità di una base sicura per programmare gli impegni della nazionale».

Massimo Rabbaglio con i suoi ragazzi dell’Arvedi Cycling dopo la vittoria di Mattia Pinazzi al GP Misano 2022 (foto: Arvedi)

La vostra missione, dichiarata dall’inizio, è Parigi 2024, dove cercherete anche di confermare quanto visto di buono a Tokyo 2020, a partire dall’oro di Francesco Lamon nell’inseguimento a squadre. Come arriverete all’anno olimpico?

«I nostri atleti di riferimento hanno le due gare della Coppa delle Nazioni davanti: Il Cairo e Milton. Da metà aprile fino a fine giugno si concentreranno soprattutto sulla strada e Pinazzi in particolare vorrà provare a togliersi qualche soddisfazione. Da fine luglio il focus saranno i Mondiali e le Sei Giorni, come quella di Fiorenzuola e Pordenone. Dopodiché sarà importante programmare bene l’inverno con Villa per approcciare al meglio alla stagione olimpica».

Hai toccato diversi eventi, che sono i principali della stagione su pista. Questa disciplina, però, non ha più la popolarità di una volta. Come rilanciarla?

«Per un rilancio del ciclismo su pista, almeno in Italia, occorre prima di tutto individuare dei ragazzi validi, possibili campioni che possano attrarre il pubblico. Per farlo è necessario che la Federazione aiuti i centri dove ci sia un velodromo, come Torino, Forlì o Pordenone, organizzando settimanalmente gare per i giovani. Così si ricreerebbe grande entusiasmo nei ragazzini, incentivati a praticare questo sport. Sono sicuro che i talenti salterebbero fuori».

Anche nell’ultimo grande evento, gli Europei a Grenchen, avete ottenuto grandi soddisfazioni con Francesco Lamon oro nell’inseguimento a squadre e Michele Scartezzini argento nella madison. Sono i vostri atleti di riferimento, ma su chi puntate per il futuro?

«Lamon e Scartezzini sono ragazzi già maturi che potrebbero chiudere il cerchio a Parigi 2024, anche se io gli auguro di continuare. Tra i giovani più talentuosi, oltra a Pinazzi di cui ho già parlato, ci sono Lino Colosio e Niccolò Galli che insieme a Stefano Moro sono le nuove leve del quartetto dell’inseguimento a squadre azzurro. Bisogna dare loro fiducia, continuare a farli crescere e a fargli fare esperienza».

In questi quattro anni qualcuno dei vostri ragazzi ha virato la rotta abbandonando la pista?

«I ragazzi che arrivano da noi hanno già il saldo obiettivo di emergere su pista. Può capitare che alcuni corridori, come nel caso di Alessio Bonelli, si trovano di fronte al bivio tra strada e pista. Bonelli la scorsa stagione scelse la strada, ma ha fatto fatica a ingranare. Quest’anno è tornato da noi, decidendo di concentrarsi ancora sulla pista».