TOUR DOWN UNDER 2023 / Il direttore di corsa è O’Grady: «Vine ha vinto una gara destinata a crescere»

Stuart O'Grady
Stuart O'Grady, direttore di corsa del Tour Down Under (foto: stueyog)
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Nella macchina azzurra del direttore di corsa, nel sedile del passeggero (da questa parte del mondo, quindi, quello di sinistra, essendo la guida a destra) siede un volto noto: quello di Stuart O’Grady, professionista dal 1995 al 2013, vincitore di due tappe al Tour e della Parigi-Roubaix del 2007, senza dimenticare l’oro olimpico nella madison alle Olimpiadi di Atene 2004.

Stuart, nel tuo palmarès ci sono anche due edizioni del Down Under: 1999 e 2001, la prima e la terza. 

«Sono nato e cresciuto ad Adelaide, la città in cui vivo tuttora: non mi sembrava vero poter disputare una corsa così importante sulle strade di casa. Quei successi contribuirono a farmi prendere confidenza nei miei mezzi».

Cosa ricordi?

«Il caldo, senza dubbio. E poi i nomi degli avversari: c’erano campioni come Zabel, corridori in rampa di lancio come me e Vinokourov e nuove leve come Evans. Dal 1999 è passata una vita, ben ventiquattro anni: alcuni ragazzi al via di questa edizione non erano nemmeno nati».

Per la prima volta da quando il direttore di corsa sei tu, il Down Under fa parte del World Tour.

«Da tre anni lavoravamo affinché l’edizione della ripartenza, quella di quest’anno appunto, fosse perfetta. Speriamo di esserci riusciti. Sai, in Australia non c’è la stessa cultura ciclistica dell’Europa: siamo lontani dal centro, mettiamola così. Non c’è una gara ogni fine settimana, è più complicato allestire dei grandi eventi».

Sei soddisfatto di com’è andata?

«Devo dire che adesso, a corsa finita, sono molto più tranquillo. Sì, sono soddisfatto, mi sembra sia stata una bella gara. Certamente il vento e il piglio dei corridori ci soni venuti incontro. Mi dispiace per quei corridori che a causa del nervosismo sono caduti e si sono fatti male, ma purtroppo fa parte del gioco».

Tappe brevi e più dure rispetto al recente passato. Perché?

«Perché crediamo che il ciclismo debba anche essere uno spettacolo, altrimenti il pubblico si annoia. Abbiamo disegnato un percorso vallonato che invogliasse i corridori ad attaccare e a provare ad aprire i ventagli, se ci fosse stata l’opportunità. Direi che ci siamo riusciti».

Chi era il tuo favorito alla vigilia?

«Simon Yates era forse il nome più autorevole per la classifica generale e quindi avrei scommesso su di lui. Ma dopo la vittoria di Jay Vine nella prova a cronometro dei campionati australiani ho capito che gli avrebbe dato del filo da torcere. È così è stato».

Stuart, cosa c’è nel futuro di questa gara?

«Ci penseremo da domani, ma sicuramente la volontà è quella di crescere il più possibile e diventare il classico appuntamento d’apertura del World Tour, attraendo sempre più campioni al via. Per me è un onore essere il direttore di corsa della mia gara di casa: è il miglior lavoro che potessi desiderare, non ce n’è uno più appagante ed emozionante».