TOUR DOWN UNDER 2023 / Marcato: «Aver fatto il gregario mi aiuta adesso come direttore sportivo»

Marcato
Marco Marcato, diesse della UAE Team Emirates, insieme ad Alessandro Covi durante il Tour Down Under 2023
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Al Tour de France dell’anno scorso, Marco Marcato non avrebbe dovuto sedersi sulla prima ammiraglia della Uae Emirates, ma occuparsi di quelli che in gergo vengono definiti gli anticipi.
«In sostanza precedevo il gruppo di cinque o dieci chilometri. Alcuni aspetti della gara li conosciamo già da tempo, altri invece possiamo capirli soltanto in diretta. Io posso sapere che in quel determinato punto c’è una rotonda, ad esempio, ma finché non arriva il giorno della gara io non so se conviene affrontarla passando a destra o a sinistra, oppure se uno dei due ingressi è stato chiuso. Ecco perché un direttore sportivo anticipa la corsa: per le insidie stradali, per la sicurezza, per avallare o sconsigliare qualche tattica».

E poi cos’è successo?

«Tra mille peripezie e qualche tampone positivo sono finito nella prima ammiraglia al fianco di Andrej Hauptman. E’ stato bello, non posso dire altrimenti, ma quanta tensione: ci stavamo giocando una Grande Boucle, in certe situazioni hai la sensazione che una tua indicazione sbagliata possa compromettere tutto. Insomma, è stata una settimana intensa. E mi rimarrà nel cuora anche se alla fine siamo arrivati secondi».

Cosa invidi ad Hauptman

«E’ un grande motivatore, sa quali corde toccare e cosa dire per tirare fuori il meglio dai ragazzi che ha a disposizione. Ma è stato Fabio Baldato a prendermi sotto la sua ala. Il periodo delle classiche, le mie corse preferite, è stato un bell’apprendistato. A Baldato invidio la decisione: ascolta il parere degli altri, ma se ha un’idea in cui crede va fino in fondo senza ripensamenti. Altrimenti, vedendolo incerto, la fiducia della squadra verrebbe meno».

Hai un direttore sportivo di riferimento?

«Allan Peiper, sempre della Uae, che ho avuto la fortuna di avere anch’io quando ancora correvo. E’ duro ed esigente, ma conosce bene come funzionano i corridori e quindi sa anche essere comprensivo. No, non mi posso lamentare: ho dei colleghi esperti e con diverse belle vittorie all’attivo. Sto imparando dai migliori».

Quando hai capito di voler fare questo mestiere?

«Diciamo che ho iniziato a farlo quando ancora correvo. Sono sempre stato bravo a capire in che direzione stesse andando la corsa e a muovermi in gruppo, tant’è che ho portato a termine dieci grandi giri su dodici e trentadue classiche monumento su trentacinque. Mi piaceva essere il riferimento del direttore sportivo, ero io quello che parlava e si confrontava con l’ammiraglia. Ho ancora tanto da imparare, ma mi sento adatto a questo mestiere».

Marco Marcato, direttore sportivo della UAE Team Emirates al Tour Down Under 2023

Quanto ti ha aiutato aver smesso alla fine del 2021?

«Inevitabilmente tanto. Conosco bene parecchi corridori della Uae e del gruppo perché ci ho pedalato insieme e contro fino a poco tempo fa. Ad esempio, io credo che portare avanti a tutti i costi una certa visione della gara sia sbagliato. Imporla ai corridori sarebbe sbagliato, poiché se loro sono i primi a non crederci finirà tutto in un nulla di fatto. A me piace confrontarmi con loro, anche se poi non posso rimanere nel limbo: una decisione la devo pur prendere…».

In altri sport si dice che per i grandi giocatori è molto difficile diventare dei bravi allenatori e presidenti. Funziona così anche nel ciclismo?

«Le eccezioni ci sono, ma io credo che sia vero. Un campione vive in un’altra dimensione, riesce a capire soltanto quelli che gli assomigliano. Un corridore come me, invece, che in carriera ha fatto un po’ di tutto, ha una sensibilità diversa: ho visto come va trattato un campione, ma allo stesso tempo so cosa pensano i gregari perché per diverso tempo l’ho fatto anche io».

Qual è stato il momento più bello della tua stagione?

«La vittoria di Trentin a Le Samyn, la mia prima da direttore sportivo. Quel giorno Matteo fu perfetto e io mi ritrovai soddisfatto: anche io avevo contribuito a buttare giù una bozza di tattica e vedere che ha funzionato mi dà tanta soddisfazione. Il più brutto, invece, allo Scheldeprijs: tutti ritirati, tra cadute e ventagli, e io che sono costretto a spegnere la macchina perché non abbiamo più atleti in gara. Spero non risucceda mai più».

Ricordi la strigliata più grande mai presa da un direttore sportivo?

«Matxin, al Tour de France del 2020 vinto poi da Pogacar. Era la settima tappa, quella dei ventagli. Io, da esperto uomo del Nord, avrei dovuto scortare Tadej e tenerlo lontano dai guai. Invece, quando il gruppo si spezzò, io ero al posto sbagliato e perdemmo più di un minuto. Tirata d’orecchie dura, ma giusta».

Quale corsa sogni di vincere, Marco?

«Nessuna in particolare, direi quelle più prestigiose: le classiche perché sono state e rimarranno per sempre le mie corse, e un grande giro perché ci vuole freddezza e organizzazione per dimostrarsi i più forti giorno dopo giorno, nell’arco delle tre settimane».

Quant’è cambiato il ruolo, secondo te?

«Molto, ma personalmente non capisco chi ci paragona ai colleghi del passato dicendo che non abbiamo personalità e che adesso è tutto più facile. Io mi alzo presto la mattina e vado a letto tardi. Devo occuparmi della logistica, del morale dei ragazzi, della tattica di gara. E poi, con tutte le informazioni sul percorso che abbiamo oggigiorno, un direttore sportivo non può essere superficiale: non basta dire questa è la salita e questa è la discesa, bisogna entrare nello specifico. Studiando, ovviamente».

Al Down Under, infine, a questo punto il vostro capitano sembra Vine.

«E’ così. Lui è in forma e ci riproverà, essendo in Australia già da parecchi giorni ha un colpo di pedale migliore rispetto a chi viene dall’Europa. Sinceramente, vedendo il percorso, il nostro capitano doveva essere Covi, ma purtroppo la caduta nel prologo lo ha estromesso dalla lotta per la classifica finale. Peccato, ma coi nomi che abbiamo saremo ancora protagonisti, ne sono certo».