Paolo Bettini è come quando andava in bici: diretto, imprevedibile e vincente. A lui piace Tadej Pogacar, «l’unico che decide di fare una sua esperienza, va al Fiandre e quasi lo vince. Pogacar sembra una cosa eccezionale, ma in realtà questo è il ciclismo. Perché Evenepoel o Vingegaard no? Pogacar dice: punto al Tour, ma in mezzo ci mette Strade Bianche, Sanremo, Fiandre. Lui è il simbolo verso cui tendere», ha detto il due volte campione del mondo livornese alla Gazzetta dello Sport.

Bettini insiste con l’esigenza di completezza. «Nibali ci ha dimostrato che si possono vincere i grandi giri e i Monumenti, e allora di che parliamo? Vingegaard ed Evenepoel devono accettare di più la sfida. Giornate e settimane intere ad allenarsi, carichi di lavoro per essere al 100%. Forse in questa gestione del ciclismo non capisco più nulla, ma io preferivo mettermi il numero con il rischio di vincere, questo dava morale. E non invece essere pronto solo per un giorno che, se poi fallisci, butti via mezza stagione. Vingegaard ha vinto il Tour ma deve uscire dal suo villaggio e buttarsi nella mischia. Uno come lui può vincere Liegi e Lombardia, ma per arrivarci deve sgomitare in gare diverse, di tensione».

Bettini guarda anche più in alto. «C’è un calendario così sparpagliato che il pubblico a casa non capisce più nulla. Servono nuove regole e nuovi punteggi. Non è possibile che le squadre impediscano ai corridori di partecipare al Mondiale, come è successo in Australia nel 2022, per fare altre corse e prendere i punti per le classifiche. L’Uci deve affrontare con urgenza questa riforma». Calendario sparpagliato, stress diffuso. «È un ciclismo molto più esasperato, i corridori sono atleti molto più preparati ma anche più stressati. Facevo 90 giorni di gara, andavo alle corse al 70% della forma e vincevo. Ora al 70% li tengono fermi. E alla fine vediamo corridori top strapagati che non arrivano a 50 giorni di gara. Sono i corridori che vogliono questo sistema, o le squadre che devono inseguire per forza i punti?».

Poi ci sono Van Aert e van der Poel, che sparigliano tutto dando spettacolo tutto l’inverno nel ciclocross. «Più si scontrano e più danno interesse, i fenomeni fanno grancassa. Da quanti anni non c’era una tale attesa per una gara di cross perché si aspetta lo spettacolo? Da un lato i corridori che centellinano le corse, e dall’altro questi due che dall’inverno tirano dritto fino ad aprile».

Dal grande mondo all’Italia. Bettini si rivolge a Filippo Ganna. «Deve cerchiare in rosso la Roubaix, ma se unisce la fantasia alla potenza può puntare a tante altre cose. È molto più di un grande gregario: deve pensare meno al cronometro e metterci più fantasia, giocando più sulle situazioni per cogliere l’attimo». E invoca «un cambio di marcia della politica sportiva, una svolta gestionale. Serve che nasca una squadra WorldTour che faccia da traino al movimento, altrimenti inseguiremo per altri 15 anni».

All’Uci però riconosce di aver fatto un buon lavoro con il ciclismo femminile. «È stata la decisione più azzeccata dell’Uci: chiedere alle grandi squadre maschili di sostenere le donne. E poi quante ragazze vediamo ogni giorno a fare ciclismo per benessere o nelle Granfondo? Le donne stanno dando un valore aggiunto a livello mediatico». Quanto a Fabiana Luperini, che sarà ds di un team maschile, la Corratec, «mi batteva nei giovanissimi, siamo cresciuti insieme. La sua è una bellissima storia, ma poteva entrare in gruppo già 10 anni fa. È molto decisa e non si fa mettere proprio i piedi in testa».