Le 48 pagine prodotte a conclusione dell’inchiesta della Commissione parlamentare Antimafia erano tese a collegare la criminalità organizzata con la morte di Marco Pantani e con i fatti precedenti, diciamo da Madonna di Campiglio al febbraio 2004. Sono emersi frammenti di un puzzle con tanti misteri e legami: dalle scommesse sportive agli interessi manifestati dai crimine organizzato nel mondo del gambling, del gioco d’azzardo. Il contesto che emerge dunque non è semplicemente quello di una storia di droga, e di un campione in preda della depressione più oscura. C’è di più.
Emergono, come detto, anche testimonianze inedite, tra cui quella di un marito di una nipote di Tonina Belletti, la mamma di Pantani. Maurizio O. fu ascoltato il 18 novembre 2020, quando era un ultrà del Cesena calcio e alla Commissione ha raccontato il ruolo di quel mondo nella vicenda Pantani. «Ci eravamo coalizzati – ha raccontato agli inquirenti – chiedendo agli spacciatori che lo frequentavano di non dare la droga a Marco. Quel mondo aveva risposto molto bene. Non solo molti della zona non gli davano la droga ma gli volevano molto bene, lo proteggevano». Avendo molta disponibilità di soldi, Pantani aggirava il problema. «Si rivolse a soggetti esterni». Da lì l’incontro con Fabio Miradossa, lo spacciatore poi assolto in Cassazione, e altri.
Il 14 febbraio, quando Pantani fu trovato morto nella sua stanza al residence Le Rose di Rimini, fu proprio Maurizio O. il primo della famiglia ad essere chiamato da un amico poliziotto, anche perché i genitori di Marco erano in Grecia col camper. Giuseppe T. era un agente in servizio all’antidroga di Rimini, e disse al parente di Tonina – del quale era amico da tempo – che era successo qualcosa di grave a Marco. Maurizio corse a Rimini, scoprì che Pantani era morto ma gli fu «impedito di salire nella stanza». Lui riuscì comunque a entrare da un secondo accesso senza incontrare ostacoli (cosa che evidentemente avrebbe potuto fare anche chiunque altro). «La porta era leggermente aperta e l’accesso alla camera era interdetto con il nastro tipico utilizzato dalle forze dell’ordine, posto in diagonale», ha testimoniato. Maurizio non entrò ma si sporse ed ebbe modo di vedere il bagno, che secondo lui era in condizioni diverse da quelle che poi ha potuto vedere in fotografia. In particolare lo specchio rotto «si trovava appoggiato alla parete posta a destra dell’ingresso del bagno, in una posizione diversa da quella rappresentata nelle fotografie».
Il parente di Tonina ha detto alla Commissione di non essere mai stato sentito dagli inquirenti. Ha aggiunto che non si è mai presentato spontaneamente per raccontare quello che sapeva anche perché lo stesso agente dell’antidroga lo aveva minacciato. «Comincio a indagare come pian piano farà poi la sua mamma. E il poliziotto un giorno viene a casa mia e ci dice: “Smettete di indagare perché avete rotto le palle. Fate la fine di Marco. Dì a tua zia che fate tutti la fine di Marco”».
L’agente, un uomo di 35 anni, gli spiegò di essere stato «mandato a riferirgli quelle minacce, senza precisare da chi provenissero». Giuseppe T. morì due anni dopo Pantani in un incidente di moto senza testimoni: fu trovato morto dopo una rotonda sulla via Emilia, non lontano da casa sua, nella tra l’11 e il 12 luglio 2006. L’Antimafia non ha approfondito le circostanze di questa seconda morte.