Di Felice: «Qualcuno mi dica cosa devo fare per passare professionista oltre a vincere e piazzarmi»

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Francesco Di Felice vince la Coppa Caduti di Reda (foto: Zannoni)
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Soltanto nel 2022, Francesco Di Felice ha accumulato una trentina di piazzamenti tra i primi dieci considerando corse di un giorno, arrivi di tappa e classifiche generali. Una vittoria, all’inizio di aprile, nella Coppa Caduti di Reda.

Il 17 marzo compirà 26 anni e quella appena conclusa è stata la sua terza stagione tra gli elite, alle quali vanno sommato le quattro tra gli Under 23. All’inizio dell’anno si era dato un ultimatum: se non passo professionista, smetto. Professionista non passerà, purtroppo per lui, ma di appendere la bicicletta al chiodo ancora non se la sente.

«Mi sentirei in colpa, mi pare un delitto – ragiona – Vado talmente bene che ancora non me la sento di smettere. Però sono già diversi anni che vado avanti dicendomi: o la va o la spacca. Il tempo passa e io sono sempre qui».

Francesco, possibile che non ti abbia mai cercato nessuno?

«Mai, ve lo garantisco. Né per scambiare due chiacchiere, né per conoscermi, né tantomeno per uno stage. Mai nessuno. Voglio ribadirlo una volta per tutte: sono assolutamente consapevole di non essere un fuoriclasse, ma allo stesso tempo credo di meritarmi una chance quantomeno da gregario e in una Professional. In questi anni mi è capitato di affrontare quelle italiane e non ho sfigurato».

Riesci a darti una risposta? Perché, secondo te, nessuno ti ha cercato?

«Me lo sono domandato più di una volta. Da una parte, e mi riferisco perlopiù agli ultimi tempi, l’età non aiuta. Nello spazio di qualche stagione, infatti, l’età per passare professionisti si è drasticamente abbassata. Un corridore come me, non più tardi di una manciata d’anni fa, era considerato esperto: oggi, invece, se qualcuno non mi dà del vecchio è soltanto per tatto. Guardate la fatica che ha fatto Lucca per trovare un contratto: ma rimane un’eccezione».

Dall’altra parte, invece, cosa può averti condizionato?

«Nessuno mi toglie dalla testa che la brutta vicenda della Altopack mi abbia penalizzato. Ero un ragazzo giovane, avrei avuto bisogno di qualcuno che mi aiutasse e indirizzasse meglio. Invece, lasciato da solo, scelsi l’ambiente sbagliato. Ma ci tengo a sottolineare che io, da quella storia di doping, ne sono uscito immacolato. Basta andare a vedere i risultati: i primi piazzamenti di valore cominciai a raccoglierli nel 2018, al terzo anno tra gli Under 23, proprio dopo aver abbandonato la Altopack, di cui avevo fatto parte per due stagioni».

Forse il tuo rimpianto più grande: tornassi indietro, prenderesti una strada diversa.

«Inevitabilmente sì, però non basta il senno di poi per cambiare il passato. Anzi, se devo essere sincero ho un altro rimpianto non meno importante: non aver potuto partecipare ai campionati del mondo di Harrogate del 2019. Rispettai le scelte di Amadori e alla fine andò bene, perché l’Italia vinse con Battistella: ma personalmente ci rimasi male. Il percorso era adatto alle mie caratteristiche e io, in quel momento, ero uno dei migliori Under 23 del paese».

L’anno prima, nel 2018, sfiorasti la vittoria nella nona tappa del Giro, battuto soltanto da Dainese. Nel 2019, invece, ben otto affermazioni, tra le quali una frazione al Friuli.

«E’ stato uno dei miei migliori momenti. Non vorrei sembrare superbo, non posso permettermelo, ma io dal punto di vista dei risultati mi sono sempre sentito tranquillo. Non mi sono mai mancati. Le mie caratteristiche mi hanno aiutato: sono un velocista atipico, rapido ma resistente. Senza, ovviamente, paragonare i palmarès, potrei dire d’assomigliare a Colbrelli».

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Francesco Di Felice sul podio del Trofeo Zannin 2019 (foto: Scanferla)

Non a caso i tuoi migliori risultati li hai raccolti nelle gare di un giorno e in quelle brevi corse a tappe che si decidono tra prologhi e abbuoni, non sulle grandi salite.

«Infatti, se penso al professionismo e posso sognare senza limiti, vorrei conquistare il mondiale e la Milano-Sanremo. Tra i dilettanti, invece, mi viene in mente la Firenze-Empoli: perché è la prima gara dell’anno e perché dal prossimo anno vestirò la maglia della Maltinti, la squadra di casa. Sarebbe un bel modo di ringraziarli della fiducia che mi stanno e di ricordare la memoria del povero Renzo».

Perché non proseguirai alla Gallina-Ecotek-Lucchini?

«Molto semplice: perché non avranno più elite nell’organico. E’ un altro problema che corridori come me si trovano a fronteggiare: oltre una certa età, o per regolamento o per sfiducia diffusa, ti trovi quasi costretto a smettere o a cambiare realtà e regione. Ciò che mi dispiace di più è che io, con Turchetti, mi trovavo bene. Ma se voglio proseguire devo necessariamente cambiare. All’estero funziona diversamente: i miei coetanei francesi, ad esempio, hanno più chance di realizzare il loro sogno».

Questo, tuttavia, è dovuto anche all’assenza di squadre italiane nella massima categoria.

«Senz’altro, non lo nego. Più formazioni italiane ci sono, più aumentano le possibilità di trovare un posto. Per quanto mi riguarda, il problema principale è un altro: non ci sono regole che stabiliscano il passaggio nel professionismo. Io vinco e mi piazzo regolarmente, ma nessuno mi cerca. E allora mi chiedo: cosa posso, o devo, fare più di questo? Qualcuno me lo dica. Ogni anno ho visto andare nella massima categoria corridori meno esperti, meno vincenti e meno costanti di me».

E’ tutto troppo arbitrario, insomma.

«Per me sì. Capisco che sia difficile normare un aspetto del genere, ma mettetevi nei nostri panni. Ad esempio: se ci fossero dei punteggi da raggiungere o un numero minimo di successi da accumulare, allora ci si metterebbe l’anima in pace. Adesso, invece, è tutto imprevedibile. Entrano in ballo mille fattori, ma la costante rimane quella: andare a cercare il talento sempre più cristallino e sempre più giovane. Come se il professionismo, poi, si componesse soltanto di enfant prodige».

La tua prossima stagione sarà definitivamente l’ultima?

«Sì, dico davvero. Al futuro, a quello che succederà dal 2024 in poi, sinceramente non voglio pensarci: se lo facessi, vorrebbe dire che io sono il primo a non credere nelle mie possibilità di strappare un contratto tra i professionisti. E invece voglio continuare ad inseguire questo sogno che ho da quando, bambino, vidi Paolo Bettini vincere il mondiale a Salisburgo».