Ecco le offese che la Gimondi ha subito nel Consiglio e che le hanno provocato una crisi di pianto

Gimondi
Norma Gimondi in una foto d'archivio
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E’ stata definita ignorante e scorretta. Così avrebbe apostrofata Norma Gimondi il consigliere Crisafulli nel Consiglio Federale, aggredendo la vice-presidente che ribadiva le sue perplessità sulla vicenda dei contributi sottolineando che se la delibera era “inesistente” non si poteva autorizzare un pagamento di 106.000 euro senza aver visto un contratto, senza sapere cosa fossero, a chi fossero diretti.

E non si liquidi il pianto della Gimondi come una debolezza femminile. Il “linciaggio” che ha subito negli ultimi mesi non sarebbe mai stato praticato nei confronti di un uomo. Era circondata dal gelo nelle riunioni dove nessuno sentiva il bisogno anche solo di salutarla. Nelle riunioni in teleconferenza quando parlava lei vi erano frequenti interruzioni audio. Le sue richieste restavano puntualmente inevase.

Norma Gimondi è un apprezzatissimo avvocato bergamasco, fortemente impegnato anche a Milano, che, al di là del cognome che porta, ha una grandissima passione per la bicicletta. Pedala con continuità sia su strada che su mountain bike e la scorsa estate ha organizzato dei campus per bambini dedicati all’uso ludico della bicicletta in collaborazione con l’università partecipando lei stessa direttamente.

La Gimondi si era candidata alla presidenza della Federazione nel 2017 venendo sconfitta da Di Rocco. Grazie ad un cavillo avrebbe potuto contestare il risultato e capovolgerlo, ma non lo fece perché lo riteneva inelegante e non voleva essere eletta a tutti i costi.

Lo scorso anno si è candidata alla vice-presidenza dopo aver ceduto alle insistenze di Silvio Martinello che sperava di averla come sua vice, ma le cose sono andate diversamente e fu duramente attaccata dai componenti della sua lista perché, dopo l’elezione, si era messa a disposizione di Dagnoni senza alcun pregiudizio di bandiera. Lei si sentiva parte della Federazione, non di una lista.

In effetti, Norma Gimondi non appartiene a nessuno schieramento, non ha “clientele” che la sostengono, e forse proprio per questo è stato più facile isolarla. La Gimondi, degna erede di Felice, ha la sua stella polare nell’etica, nella moralità, nella correttezza, nella legalità. Questi suoi valori la rendono difficilmente “governabile” e la sua competenza legale ne fa un attento e inesorabile controllore.

Spesso tra i dirigenti sportivi vengono chiamati dei “nomi” popolari con la convinzione che questi si accontentino di apparire, di fare qualche bel viaggio ben spesato, di raccogliere qualche soldo con le indennità, di servire il padrino che gli ha concesso la vetrina. Ma Norma non è mai stata “solo” la figlia di Felice. Norma ha fatto proprio tutto il bagaglio etico di Felice, ma ha di suo un capitale di competenza e conoscenza che la rendono incorruttibile.

Il valore della sua azione è facilmente valutabile: senza la sua denuncia, il pagamento di 106.000 euro sarebbe stato autorizzato con il beneplacito di presidente, segretario, consiglio direttivo, revisori dei conti e presidenti regionali. Nessuno avrebbe trovato nulla da ridire su un così ingente versamento in assenza di qualsiasi documentazione. E, anche dopo la denuncia, non ha trovato un solo dirigente che si schierasse dalla sua parte per approfondire e capire la vicenda che a tutt’oggi e sempre più confusa anche a causa di spiegazioni inadeguate, contraddittorie, insufficienti.
Ciò nonostante, ha denunciato, combattuto, bloccato il pagamento e, dopo essere stata pesantemente offesa dinanzi all’intero consiglio, ha deciso di lasciare.

Siamo sicuri che il movimento possa perdere un dirigente di questo livello?