Villa, che scoperta: «Dopo il quinto posto di Capodarco voglio sbloccarmi tra gli Under 23»

Villa
Giacomo Villa con la maglia della Biesse-Carrera durante la scorsa stagione
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Dei sei corridori che stavano per giocarsi la vittoria del Gran Premio di Capodarco, Giacomo Villa della Biesse-Carrera era il meno conosciuto. Ma a cosa serve la fama quando si può contare su uno stato di forma invidiabile? Quattordicesimo nella prova in linea dei campionati italiani, secondo alla Freccia dei Vini, settimo sul Monte Pora, quindicesimo a Briga, quattordicesimo a Poggiana.

Soltanto chi lo segue da vicino aveva pronosticato un roseo avvenire. «Sta crescendo a vista d’occhio», vanno dicendo ormai da diverse settimane Marco Milesi e Dario Nicoletti, i due direttori sportivi della formazione lombarda.

Hanno avuto ragione: alla fine Villa è arrivato quinto a Capodarco, centrando così il piazzamento più significativo della sua carriera.

Giacomo, hai qualche rammarico?

«Non vorrei sembrare presentuoso, ma devo dire di sì. Non avrei dovuto seguire in prima persona l’attacco di Thompson: non era quello il momento decisivo e andandogli dietro mi sono messo in croce da solo. Quando sono partiti De Pretto e Buratti, infatti, non avevo più energie».

Eri tu il capitano della Biesse-Carrera?

«Con Ciuccarelli ci siamo messi d’accordo per fare corsa dura, poi mi sono ritrovato nel gruppo che si era sganciato e a quel punto me la sono giocata in prima persona. Una bella esperienza e una bella giornata: è grazie a risultati come questi che un giovane guadagna fiducia».

Stai crescendo di corsa in corsa, merito anche dei tuoi direttori sportivi, Marco Milesi e Dario Nicoletti: da mesi, ormai, parlano bene di te.

«Devo ringraziarli, mi fanno sentire importante e mi lasciano libero di sbagliare. Sarebbe tutto più difficile se non potessi contare su un ambiente così sereno. Marco lo conosco meglio, avendolo avuto già lo scorso anno. Dario, invece, l’ho conosciuto lo scorso inverno, ma che sia bravo è fuori discussione. E riesce ad entrare in sintonia molto bene coi ragazzi stranieri, frutto della sua esperienza al Mendrisio».

Milesi
Marco Milesi, direttore sportivo della Biesse Arvedi

Ciclisticamente parlando come ti descriveresti?

«Un passista-scalatore, senza dubbio. Momentaneamente più adatto alle classiche, se vogliamo essere ancora più precisi. Mi piacerebbe diventare forte anche nelle corse a tappe, ma devo confrontarmi con la realtà: sono alto 1,82 e peso 67 chili, praticamente dieci in più di scalatori più minuti come Martinez o lo stesso Ciuccarelli. Compensare questa differenza non è semplice».

Hai dei corridori di riferimento e delle corse dei sogni?

«Io ho sempre tifato per Peter Sagan, sia per il campione che è sia per il personaggio che ha saputo portare avanti. Ha uno stile preciso, è identificabile e riconoscibile, non è uno dei tanti vincitori di tappe al Tour e di classiche monumento. Per quanto riguarda le corse, direi quelle più vicine a casa mia, a Monticello Brianza: quindi la Coppa Agostoni e il Lombardia».

Tra quaranta giorni arriva la versione riservata a voi dilettanti, il Piccolo Lombardia. Ci pensi?

«Sì, direi che la Ruota d’Oro e il Piccolo Lombardia sono i miei due grandi obiettivi del finale di stagione. Sento che la vittoria è sempre più vicina e potrebbe arrivare già nelle prossime settimane».

Considerando l’intero calendario, a quali gare potresti puntare il prossimo anno?

«Mi piacciono molto le classiche internazionali che si tengono in Veneto in primavera. Quest’anno ho capito che posso raccogliere qualcosa di interessante: a San Vendemiano sono arrivato undicesimo, al Recioto venticinquesimo. Se dovessi migliorarmi, si comincerebbe a fare sul serio».

A proposito, quand’è che il ciclismo è diventato qualcosa in più di una semplice passione?

«Da quando, un anno fa, mi sono diplomato al liceo scientifico, ho notato dei grossi cambiamenti. Ho iniziato a concentrarmi quasi esclusivamente sul ciclismo e col tempo direi che i risultati stanno arrivando. Mi sono iscritto anche all’università, Scienze Statistiche, ma è difficile portare avanti entrambe le attività. Con gli esami non sono in pari, ad esempio, e un po’ mi dispiace».

C’è un sacrificio che ti costa più degli altri?

«Non poter uscire con gli amici quando ne ho voglia. Diciamo che ormai ci ho fatto l’abitudine, va così già da qualche anno. D’altronde il ciclismo è una scelta di vita, è difficile tornare indietro o non sposarla completamente se si vuole togliersi qualche soddisfazione. Per dare un senso a tutto questo non resta che crescere, migliorare, iniziare finalmente a vincere qualche corsa».