Pagani e il caso Vingegaard: «La vittoria può essere un trauma. Bisogna lavorare sulla parte mentale»

Tour de France
Jonas Vingegaard in trionfo sul traguardo della 18ª tappa del Tour de France 2022 (foto: A.S.O./Ballet)
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I tecnici danesi, che lo conoscono da sempre, hanno parlato di stress post-traumatico per descrivere le settimane di Jonas Vingegaard dopo la vittoria al Tour. Un successo planetario, che ti proietta in una nuova dimensione, difficile da immaginare prima che ti piombi addosso. Lo stesso campione della Jumbo-Visma, arrivato a sorpresa alla partenza dell’ultima tappa del Giro di Danimarca, lo scorso weekend, ha definito quello che gli è successo quando era in testa alla corsa più famosa e importante del mondo «un bombardamento mentale»

Colpiti dalla scelta di queste espressioni forti (stress post-traumatico, bombardamento mentale), ci siamo rivolti a una specialista della mente per capire di più di quello che può essere successo al re del Tour. Che, non dimentichiamolo, ha sofferto di forte ansia in passato: i suoi genitori hanno raccontato che alla vigilia delle prime corse importanti, già professionista, Vingegaard a volte ha avuto la febbre, e spesso ha vomitato per la tensione. Ad aiutarci su questo tema è Paola Pagani, mental coach con oltre quindici anni di esperienza, conosciuta nel mondo del ciclismo per aver lavorato con Sonny Colbrelli negli anni che hanno preceduto le sue migliori affermazioni.

E’ esagerato parlare di stress post-traumatico per una vittoria?

«No, la vittoria può certamente essere un trauma. Essere buttati alla ribalta di colpo può creare un trauma difficile da gestire: si genera una sorta di paura. Lo stress è tensione, e di fronte a uno stress il nostro corpo secerne ormoni che vanno benissimo quando c’è da gestire una situazione di pericolo, facendoci scappare o consigliandoci di nasconderci, e cioè cortisolo e adrenalina. Una volta scampato il pericolo non c’è più ragione, e il corpo dovrebbe smettere di produrli. Se però permane lo stress mentale, il corpo continua a secernere cortisolo e adrenalina, che oltretutto creano assuefazione: per cui cerchiamo inconsciamente pensieri stressanti e agenti che ci stressano, quindi lo stress da mentale diventa fisico».

Un circolo vizioso. Come si può interrompere?

«E’ difficile. Per riuscirci bisogna intervenire sulla parte mentale. L’istinto, quando si viene di botto esposti al successo, è quello di rinchiudersi per paura».

Paola Pagani, mental coach da più di quindici anni

Che cosa succede dentro di noi?

«Nel caso di Vingegaard, possiamo essere certi che sia riuscito a vincere usando anche la testa, probabilmente è rimasto chiuso in una bolla come spesso succede durante le lunghe manifestazioni sportive, ed è riuscito a isolarsi da quello che poteva fargli paura: essere esposto alle luci dei riflettori, ma anche alle aspettative degli altri. Il dopo è più difficile da gestire. Ricordo che anche Sonny diceva di non aver più un momento per sé dopo il successo alla Parigi-Roubaix: è gratificante, ma anche molto pesante».

C’entra anche il vuoto che ti dà aver raggiunto un grande obiettivo?

«Da una parte c’è un vuoto di motivazioni, dall’altro la voglia di dimostrare che non hai raggiunto quel risultato per caso. E a questo si accompagna anche la paura di non riuscire a ottenere di nuovo un successo così importante».

Dicono tutti che rivincere è più difficile.

«Perché ci si blocca mentalmente, si ha paura di non poter essere più il campione che ha vinto la prima volta. La vittoria mentalmente è da gestire, e per riuscirci è importante tornare alla dimensione del divertimento. Il ciclismo è uno sport, se ci ricordiamo di questo diventa più facile gestire lo stress».