Dapporto si racconta: «Costanza e determinazione sono i miei tratti distintivi»

Davide Dapporto al via della sesta tappa del Giro d'Italia U23
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Davide Dapporto ha fatto della resistenza e della velocità le sue qualità maggiori nel percorso di crescita tra gli Under 23. Due armi accompagnate a una grande costanza, che finora gli valgono il secondo posto nella classifica generale del Prestigio Bicisport. Con la maglia dell’InEmiliaRomagna dall’inizio della stagione nelle corse di un giorno disputate ha tagliato il traguardo rientrando quasi sempre in top ten: dieci volte su quindici. Nelle due corse a tappe alle quali ha preso parte, Dapporto si è messo ancora in luce: prima un sesto posto nella settima tappa del Giro d’Italia U23, poi tra i protagonisti del Giro del Veneto, ma mancando sempre la vittoria.

Essere sempre lì tra i primi, spesso ad un soffio dal successo, non infastidisce, però, troppo Dapporto: «Nella mia testa non c’è l’assillo di dover vincere a tutti i costi. Penso a quello che posso controllare: come mangio, come mi alleno, ad andare forte. Tutto il resto è una conseguenza». Il suo nome è finito anche sul taccuino del ct Amadori, che l’ha chiamato per un ritiro in vista dei prossimi grandi impegni. Facciamoci raccontare da lui allora questa prima parte di stagione, le aspettative sulla seconda, che cosa gli manca per salire sul primo gradino del podio e non solo.

Dapporto, si dice che la costanza sia la misura di tutto. Dal primo colpo di pedale dato a fine febbraio sei sempre in testa all’ordine d’arrivo. Sei soddisfatto?

«Sì, sono contento. Ora vengo da due settimane con la nazionale al Sestriere, lavorando con un gruppo di corridori in ottica Tour de l’Avenir e Mondiale. Essere costante è importante, forse anche più della vittoria in sé. Avere un rendimento di alto livello nel tempo è sintomo di solidità del corridore, quindi innanzitutto della sua preparazione. Adesso mi sto impegnando al massimo per rientrare nei grandi obbiettivi con la nazionale. Tra le prossime gare punto a far bene al Gp Sportivi di Poggiana domenica, un’internazionale e quindi una bella vetrina».

Cosa ti è mancato per centrare l’acuto?

«Sappiamo che il ciclismo è uno sport di situazione, quindi è molto importante essere nel posto giusto al momento giusto. Per questo non saprei dire precisamente cosa è mancato. Sicuramente quando sono arrivato in volata e ho terminato secondo, mi sono mancati quei venti watt in più. Però in quel momento non li avevo…»

Dettagli che fanno la differenza. Ma osservando il tuo percorso non si può che parlare bene di te…

«Sì, se uno va a vedere dove ero due anni fa e vede il corridore di adesso, certamente osserva una crescita esponenziale. Non ho mai vinto una corsa da juniores, non ho mai visto la nazionale e non ero nell’elite dei corridori italiani. Piano piano sono cresciuto grazie alla squadra, ai preparatori e al mio carattere che mi spinge a martellare, a fare ogni cosa al 100% per quello che posso. È questo che mi ha portato a essere così costante e per fortuna il prossimo sarò ancora Under 23, quindi se non dovessi passare professionista questa stagione non mi dispiacerebbe fare anche il quarto anno».

Non è una cosa che dicono tutti. Anzi, fin dalla categoria Juniores assistiamo ad una corsa al professionismo.

«Il quarto anno da dilettante mi permetterebbe di dimostrare ancora di più il mio valore. Da inizio stagione sono cresciuto tanto, soprattutto in salita, il terreno dove dovevo migliorare. Adesso mi sento competitivo anche quando la strada tira all’insù, ovviamente non con gli scalatori puri ma per esempio come un corridore alla Matthews che regge bene anche su salite da venti-venticinque minuti».

Tornando indietro, ma restando sul tuo percorso, sei stato molto bravo anche in pista tra gli allievi. Tra gli ottimi risultati ottenuti, c’è per esempio la vittoria del campionato italiano nell’inseguimento a squadre nel 2017. Oggi che la tua priorità è la strada, cosa ti ha lasciato il ciclismo su pista? Hai mai pensato che se non avessi praticato questa specialità ti saresti trovato ora più in difficoltà in alcuni aspetti?

«La pista è stata importantissima e infatti ringrazio sempre il mio preparatore che mi ha seguito fin da esordiente nella Sc Cotignolese. Grazie alla pista in gruppo mi muovo con un’agilità che in molti momenti di corsa è indispensabile, a partire dal prendere una borraccia in fondo e rientrare davanti senza spendere troppe energie. Ma anche quando c’è da imboccare una salita oppure da preparare un treno per la volata. Vedo tanti compagni di squadra che non hanno fatto pista e in alcune situazioni vanno in difficoltà. La pista ti dà dei vantaggi che quando su strada si alza il livello saltano fuori».

Quali sono gli aspetti sul quale sei migliorato di più nel percorso da dilettante? Prima dicevi di aver lavorato tanto in salita.

«Il primo anno da dilettante non ho praticamente corso a causa di un bruttissimo incidente all’Astico-Brenta (un pedone stava attraversando la strada e per evitarlo Dapporto cadde rovinosamente a terra n.d.r.) e il recupero è stato lungo. Per fortuna ho recuperato al 100% e dall’anno seguente in salita sono migliorato tantissimo. Anche perché ho lavorato sul peso, seppure qualche chilo posso limarlo ancora. Così come ho alzato gradualmente la qualità degli allenamenti. Per esempio sono appena tornato dal ritiro a Sestriere con la nazionale ed è stata la prima volta che sono andato in altura. Poi in questi anni da dilettante ho iniziato a lavorare con il potenziometro, perché prima da junior non l’avevo mai usato. Effettivamente con l’utilizzo di questo strumento si ha un salto di qualità nelle performance. Prima tornavo a casa e dicevo: “Bene, mi sono allenato”, mentre adesso osservando tutti i dati capisci davvero se è stata una buona giornata o no. Ha dei riferimenti che ti guidano».

Oltre all’incidente di cui parlavi, hai superato anche un altro momento difficile: un delicato intervento chirurgico al cuore. Spesso scavalcando gli ostacoli nel percorso si possono trarre degli insegnamenti che a posteriori possono aiutare per affrontare al meglio ogni piccola sfida. È stato così anche per te?

«Può essere banale, ma in quei periodi ho capito quanto sia importante star bene fisicamente, soprattutto per noi atleti. Si ha una ruotine quotidiana e improvvisamente uno shock esogeno te la ferma e quando sei lì bloccato senza far nulla, ti rendi conto di quanto sei fortunato quando puoi fare al 100% della tua salute quello che realmente più ti piace. Quindi innanzitutto mi ha insegnato ad apprezzare di più la normalità e tutte quelle cose che di solito si danno per scontate».

Nell’approccio alla categoria Under 23 due anni fa parlavi di esasperazione tra i tuoi coetanei. Che cosa intendevi e la vedi ancora?

«L’esasperazione nella categorie giovanili la vedo tuttora, anche con mio fratello che corre negli Juniores ed è oggetto di discussione quotidiana. Per esempio parlando con un ragazzo in un ritiro mi diceva che aveva dei materiali migliori da junior rispetto ad adesso che è professionista… E poi si vedono diverse squadre Juniores nelle quali vincono tutti i corridori in rosa. Se ne hanno venti, vincono tutti e venti. Penso alla LVF, che si è ritirata recentemente da quella categoria. Adesso in attività di quella squadra ne sono rimasti tre o quattro. Se non è esasperazione questa… Non si possono avere venti potenziali professionisti in una squadra Juniores, a livello numerico è impossibile. O li stai allenando bene, o li stai allenando tanto, troppo oppure hai tutti fenomeni, ma è impossibile. Io in quella categoria vedo ancora questo».

Dove sta l’errore?

«Non voglio dire che non dobbiamo allenarli, ma bisogna prepararli da Juniores. Cioè non fargli fare allenamenti da Under 23: se le corse da Juniores sono da 120 chilometri non puoi fare allenamenti da sei ore. Sono capaci tutti a far vincere i propri ragazzi così. Se si ha uno che ha un buon fisico e lo si allena tanto, poi la domenica difficilmente andrà a vuoto. L’altro aspetto è che nei dilettanti in Italia si corre troppo e male, non si può gareggiare ogni settimana martedì, sabato, domenica. Si finisce per correre a un livello basso tanto, non facendo crescere i ragazzi. L’ideale è quello che fanno all’estero: breve corsa a tappe ma di qualità, riposo di venti giorni in cui ci allena preparando i grandi appuntamenti come il Giro, l’Avenir. Per esempio guardando il calendario della Groupama-FDJ U23 si vede che loro di corse di un giorno ne fanno dieci in tutta la stagione e sono solo gare internazionali».

Tornando a noi e salutandoci, sappiamo che oltre a pedalare studi Economia. Come procede il percorso universitario parallelo alla bici, riesci a conciliare tutto?

«Quest’anno il secondo semestre universitario nel quale dare gli esami è coinciso con il Giro d’Italia U23 e il Giro del Veneto e ho fatto più fatica. Era più complicato studiare e trovare le energie per farlo, più che il tempo. Sono rimasto indietro di quattro esami, ma punto a laurearmi in tempo. In questo momento la priorità ce l’ha la bicicletta, perciò me ne faccio una ragione di restare indietro di qualche esame».