La lezione (dimenticata) del Giro d’Italia: al Valle d’Aosta solo quattro squadre italiane

Giro della Valle d'Aosta
La nazionale italiana al Giro della Valle d'Aosta 2022
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Più di un direttore sportivo non aveva gradito né il de profundis né la strigliata di Davide Cassani all’indomani dell’ormai famosa terza tappa del Giro d’Italia, la Pinzolo-Santa Caterina Valfurva: quel giorno il primo italiano al traguardo fu Davide Piganzoli, 14° a 7’56” dal vincitore Leo Hayter

In molti, tra sincerità e imbarazzo, quel giorno ammisero che sì, forse la frazione era eccessiva per la categoria, ma allo stesso tempo i risultati degli azzurri dovevano far riflettere.

«Non ho sentito nessuno dire: dove stiamo sbagliando? Perché gli stranieri, su percorsi duri, vanno molto più forte di noi? – aveva detto Cassani – Squadre come Groupama-Fdj, Lotto Soudal e Ag2r Citroen le vedi correre in Italia, Spagna, Francia, Belgio. Ogni mese partecipano ad una corsa a tappe, e noi? A parte tre formazioni, restiamo a casa nostra».

Considerazione forte, ma giusta. In tanti, come detto, non l’avevano apprezzata: c’è chi l’ha reputata troppo semplicistica e chi, invece, non ha gradito che a dare un giudizio fosse proprio Cassani, ex commissario tecnico ed esterno al gruppo (spesso chiuso ed autoreferenziale) degli Under 23

Era il 13 giugno. Un mese esatto più tardi, il 13 luglio, giorno in cui è cominciato il Valle d’Aosta, la conferma che quelle polemiche e quell’iniziale (ma ingenuo) slancio rivoluzionario erano già stati dimenticati. Solo quattro le squadre italiane al via: Colpack, Qhubeka, Bardiani e Cycling Team Friuli. Nessuna realtà dilettantistica tradizionale, soltanto tre continental sulle tredici complessive (siamo il paese che ne vanta di più). Se Marino Amadori non avesse allestito una selezione nazionale, al Valle d’Aosta non avrebbero partecipato nemmeno Raccani della Zalf, Ciuccarelli della Biesse-Carrera, Calzoni della Ecotek Gallina Lucchini, Crescioli della Mastromarco e Porta della Petroli Firenze. 

Settimane passate a sottolineare quanto siano importanti le corse a tappe nel processo di crescita di un giovane e poi, quando ne arriva una importante, nemmeno all’estero ma in Italia, quasi nessuno decide di prendervi parte. Ogni squadra troverà la scusa più inattaccabile: l’organico decimato, pochi corridori adatti alle tante salite del Valle d’Aosta, lo sforzo economico e logistico che una trasferta del genere può richiedere, altre gare (sicuramente meno prestigiose, concedetecelo) alle quali partecipare per accontentare gli sponsor o conquistare una vittoria in più, un improbabile ritiro per preparare il finale di stagione.

E intanto il tempo passa e non cambia nulla.

Il dispiacere aumenta ancora di più se ci si sofferma sui risultati. Questa volta agli italiani non si può dire niente: si sono comportati egregiamente. Germani, il campione italiano, ha vinto una tappa ed è stato una volta di più preziosissimo per Martinez e Thompson, i due compagni di squadra che hanno chiuso rispettivamente primo e secondo nella generale. Milesi è arrivato secondo nella terza tappa, Calzoni nella quinta. In quattro sono entrati tra i primi dieci della classifica generale: 3° Raccani, 4° Frigo, 5° Ciuccarelli, 9° De Cassan. Meris e Pellizzari, pur senza conquistare risultati eccezionali, hanno provato a farsi vedere in più occasioni senza lasciare nulla d’intentato.

Insomma, di corse a tappe in Italia non se ne organizzano molte e a quelle poche che sopravvivono le squadre azzurre non partecipano in massa. Non è quello di cui il nostro movimento ha bisogno se vuole cominciare a recuperare il terreno perso nei confronti degli stranieri. Chi non ha preso parte al Valle d’Aosta avrà avuto le sue valide ragioni, ma non ha fatto una bella figura.