Fede ha scelto la Francia: «All’Ag2r per realizzare il mio sogno: diventare un campione»

Fede
Gabriele Fede dell'Ag2r Citroen (foto: Chambéry Cyclisme Formation)
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Quando l’estate scorsa la formazione di sviluppo dell’Ag2r lo ha cercato, Gabriel Fede non ha tremato: crede molto nei suoi mezzi, vuole diventare un campione e sa di poter contare su una discreta dose di talento. I dirigenti della squadra transalpina sono rimasti stupiti: i risultati dei test si sono rivelati ottimi, tant’è che hanno deciso di invitarlo nuovamente per un ritiro di una settimana. Al termine di quei sette giorni gli hanno proposto un contratto biennale, che lui ovviamente ha accettato.

«Ma il bello deve ancora venire. Io per ora continuo a vivere a Santa Croce di Vignolo perché frequento la 5ª superiore all’Ipsia Grandis di Cuneo, meccanica e manutenzione, ma poi dovrò trasferirmi in Francia. E’ quello che ho sempre desiderato, d’altronde la strada per il successo è lunga e dura. Non sarà facile».

A cosa pensi?

«E’ un altro mondo, letteralmente. Ogni corridore ha il proprio appartamento, un cuoco ci prepara il pranzo alle 12 e la cena alle 19 e non si scappa, noi atleti ci mettiamo a tavola e mangiamo tutti insieme. Tornerò raramente a casa, sia per l’impegno ciclistico che per quello scolastico: infatti per un anno studierò il francese, lingua che mastico ma che non maneggio ancora completamente».

Quando si è fatta avanti l’Ag2r?

«Lo scorso anno. Avevo avuto qualche contatto anche con la Eolo-Kometa e con la Beltrami, ma alla fine l’offerta dei francesi si è rivelata troppo ghiotta. Dopo i primi test sono rimasti di sasso, i miei valori li hanno stupiti». 

Com’è andata la prima parte di stagione?

«Direi bene, mi reputo soddisfatto. Nonostante viva in Italia e frequenti ancora le superiori, ho disputato circa quindici gare. In Francia corriamo con gli elite, quindi dobbiamo darci da fare. Sono venuto pure in Italia: alla Torino-Biella abbiamo vinto con Tronchon, ma ho partecipato anche al Belvedere e al Recioto. Per quest’anno non mi sono posto particolari obiettivi, ma strappare una vittoria alla prima stagione tra gli Under 23 sarebbe importante».

Domenica avrebbe dovuto esserci la Parigi-Roubaix riservata agli Under 23, una corsa che ti piace molto.

«Insieme alla Strade Bianche è la mia classica preferita. Al di là del prestigio e della particolarità, la Roubaix mi intriga perché da ciclocrossista penso di essere abbastanza adatto e con le superfici diverse dall’asfalto ho una certa confidenza. Peccato, sarebbe stato un bel banco di prova. Ero curioso».

Però ti reputi uno scalatore: 183 centimetri d’altezza per 65 chili di peso forma.

«Casa mia è circondata da salite, non poteva essere altrimenti. Mi piacciono le montagne, quelle vere, quelle lunghe e impervie. Di una scalata amo tutto: la fatica, la solitudine, la gestione delle energie. La mia preferita è il Fauniera, d’estate la faccio spesso».

Probabilmente il Giro d’Italia Under 23 si deciderà lassù, ma la vostra squadra non è tra quelle che parteciperanno.

«Un vero peccato, ci speravo molto, ci sono almeno un paio di tappe che partono e arrivano nelle mie terre ed essere in gruppo sarebbe stato magnifico. La squadra era stata invitata, ma ha declinato. Non ci hanno dato spiegazioni, evidentemente hanno altri piani. Mi è dispiaciuto, ma non posso fare altro che prenderne atto».

Hai un grimpeur di riferimento?

«Pur non avendolo vissuto in prima persona ho sempre ammirato Pantani, il prototipo dello scalatore. Se ripenso alla mia infanzia, invece, mi vengono in mente Nibali e ancor prima Ivan Basso. Io amo la corsa dura, più salite ci sono e meglio è, ma riconosco di dover imparare a gestirmi meglio: a volte sono troppo generoso, mi faccio prendere dall’enfasi e spreco energie inutili. E’ che mi piace dare spettacolo, nei limiti del possibile».

Allora non sarai indifferente a Van Aert, Van der Poel e Pidcock, che alternano strada e ciclocross ai massimi livelli.

«Ovviamente no, ma dei tre preferisco di gran lunga Van der Poel. E’ un corridore di razza ma al tempo stesso imprevedibile, a volte si lancia in azioni completamente insensate ma molto emozionanti. E’ un cavallo pazzo, insomma». 

Continuerai l’attività nel ciclocross o ti dedicherai principalmente alla strada?

«Al ciclocross devo molto, mi ha permesso di migliorare tantissimo nella guida nel mezzo e di abituare il mio corpo a degli sforzi brevi e intensi. Però adesso mi dedicherò prevalentemente alla strada. Il ciclocross non lo abbandonerò del tutto, ma sarà propedeutico agli eventi su strada».

Cosa ti piace del ciclismo su strada?

«La sensazione di libertà, la crescita fisica e atletica al prezzo di un’enorme fatica. Ci penso spesso. Sono a scuola dalle 8 alle 13.40, mangio al volo prima che suoni l’ultima campanella così da essere già pronto per andare a pedalare. Salgo in macchina di mia madre, mi cambio alla svelta e a volte alle 13.50 già comincio ad allenarmi. A volte torno anche alle 19. Se è dura? Certo che lo è, mi capita d’essere stanco morto, ma poi ripenso a quello che mi spinge e mi dimentico dei sacrifici».

Cos’è che ti spinge?

«L’ambizione, il desiderio di diventare un campione. Ma non ho fretta, preferisco crescere con calma e passare professionista soltanto se lo meriterò e quando mi sentirò pronto. Ho notato che in Francia si allenano diversamente da noi: non si esauriscono, non torno mai a casa stanco morto, così il giorno dopo pedalare non è uno sforzo titanico. Ho l’impressione che in Italia ci si alleni troppo duramente, col rischio d’arrivare nella massima categoria già provati fisicamente e mentalmente. E invece ci vuole il giusto tempo».