Scoprendo Giuliano Santarpia: «Di sera gioco a carte con gli amici, di giorno sogno il Giro»

Santarpia
Giuliano Santarpia al Gran Premio Liberazione di Roma
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Dopo cena, se nel pomeriggio ha dormito e non prende sonno, esce per andare al chiosco a giocare a carte con gli amici. D’estate, verso le otto di sera, salta su uno dei suoi due cavalli, un maschio e una femmina, e insieme passeggiano nelle campagne di Roccasecca. E guai a fargli un torto: è vendicativo e prima o poi si rifarà. Questo, in brevissimo, è Giuliano Santarpia, nato il 29 agosto 2003 e al primo anno tra gli Under 23 con la Petroli Firenze-Hopplà-Don Camillo di Matteo Provini. Dopo i quattro successi e gli svariati piazzamenti della passata stagione, il ciociaro nel corso delle ultime settimane s’aspettava di raccogliere qualcosa in più.

Qualche rammarico in particolare, Giuliano?

«No, non direi, non è ancora arrivato il giorno in cui posso giorcarmi una gara tra i dilettanti, quindi un rammarico in particolare non ce l’ho. E’ più una sensazione generale. Pensavo di andare meglio, ma la realtà è che un po’ di talento e d’impegno non bastano: bisogna darsi da fare e non smettere mai di credere di potercela fare».

E tu non lo stai facendo?

«Certo che lo sto facendo, ma mi sto rendendo conto di quanto il ritmo sia diverso rispetto agli juniores. E poi finché avrò la scuola non potrò dedicarmi unicamente al ciclismo».

Cosa studi?

«Meccatronica a Isola del Liri, sono in quinta superiore e sinceramente non vedo l’ora di completare il mio percorso. Così non riesco né a studiare bene né ad allenarmi bene. Il ciclismo è uno sport che richiede tempo, pazienza, applicazione e sacrifici: non se ne fanno mai abbastanza. Dall’estate in poi spero di averne di più, di tempo, e la musica potrebbe cambiare».

Quindi non hai intenzione di proseguire all’università?

«C’ho pensato di sfuggita, ma direi di no. Adesso il mio obiettivo principale è il dilettantismo: dare il massimo in questi tre anni e mezzo e poi tirare una riga in base a dove sarò arrivato. E’ chiaro che il mio sogno è il professionismo, quale giovane corridore sosterrebbe il contrario? Ma la strada per arrivarci è lunga e impegnativa».

Quand’è cominciata?

«A otto anni. Il mio padrino aveva una squadra di amatori, io mi appassionai al ciclismo a forza di andarli a vedere alle gare. Di questo sport, all’inizio, mi piaceva l’idea che fosse di nicchia. Tutti amavano e giocavano a calcio, io per distinguermi scelsi il ciclismo. La prima bicicletta era grande, ho passato diverso tempo a misurare me e la distanza che mi separava dal cominciare a usarla. Quand’è arrivato il fatidico giorno non stavo nella pelle. Alla fine non mi sono più fermato».

Che corridore sei?

«Un passista veloce che scavalca bene le salite brevi ma sogna di migliorare in quelle vere e proprie. D’altronde le mie misure sono quelle, 166 centimetri per 62,4 chili: difficile che possa diventare un cronoman o un velocista».

C’è un corridore al quale ti ispiri?

«Oddio, ispirarsi forse è troppo, ma io ho sempre ammirato Peter Sagan. Un po’ perché è un campione, un po’ perché vagamente gli assomiglio e soprattutto perché ha sfatato il mito del ciclismo fatto solo e soltanto di polvere, sudore, fatica, sangue e sacrifici. Si può anche essere come lui, un po’ più leggeri e scanzonati. Lo ammiro tuttora, anche se vince molto meno di prima».

Hai avuto modo di conoscerlo?

«Quasi, se così si può dire. Una volta, una decina d’anni fa, insieme ad altri bambini trascorsi una settimana in una sorta di ritiro promosso dalla Liquigas. Qualche girata in bici, un po’ di stretching, nulla di esagerato. Sagan non venne, ricordo invece che ci raggiunse Viviani. Una bella esperienza».

E della tua nuova squadra, la Petroli Firenze-Hopplà-Don Camillo, chi hai preso come riferimento?

«Come riferimento direi nessuno, ma venendo qui ho capito d’aver fatto la scelta giusta. Il gruppo è compatto e forte, si respira una bella aria e sono consapevole di far parte di una formazione ambiziosa. I leader come Nencini e Quartucci sono allo stesso tempo dei ragazzi simpatici e alla mano. Mi trovo molto bene, insomma».

Anche con Matteo Provini? Non è il direttore sportivo più mansueto e affabile che ci sia.

«E’ vero, è duro ed esigente, ma è giusto che sia così. Ci vuole un capo che comandi. La gerarchia è importante, altrimenti saremmo un gruppetto di ragazzi allo sbaraglio. Lo fa per noi, a lui ne viene in tasca il giusto. Quindi approfittiamo di avere un figura esperta come la sua che ci insegna cos’è il ciclismo e non lamentiamoci troppo».

Di te Provini dice che sei un personaggio sui generis: perché?

«Qualcuno mi chiede lo stesso di Provini: è vero che è strano? Io rispondo di no, che almeno non mi pare. Oppure non mi sembra strano perché il primo ad esserlo sono io. Forse dice così perché alle otto di sera, d’estate, se ho voglia vado in giro per le campagne di Roccasecca con uno dei miei due cavalli: un maschio e una femmina. Ne ho sempre voluto uno, non davo pace alla mia famiglia e alla fine, per la comunione, mio zio me l’ha regalato».

Provini dice anche che la sera dopo cena vai al circolo a giocare a carte.

«Non al circolo, ma ad un chiosco vicino casa. A volte succede che di pomeriggio m’addormento e quindi la sera ho un po’ meno sonno. Allora raggiungo i miei amici al chiosco e ci mettiamo a giocare a carte. Ma sull’orario non si sgarra, massimo alle dieci e mezzo sono a casa».

Come ti descriveresti?

«Socievole, pacifico. A meno che qualcuno non mi faccia un torto. Io non dimentico niente. Me la lego al dito e appena posso mi vendico».

In quale gara speri di lasciare il segno?

«Sinceramente non mi pongo obiettivi precisi, tanto poi finisce sempre male. L’augurio che faccio a me stesso è quello di diventare un corridore maturo, solido e affidabile, costante per tutta la stagione. Da piccolo guardavo più che altro Giro e Tour, quindi inevitabilmente nel mio immaginario ci sono queste due corse. Anche se a volte mi addormentavo, riuscivo a svegliarmi sempre in tempo per vedere l’arrivo».

A proposito di Giro, parteciperai a quello riservato agli Under 23?

«Sarebbe un sogno, ma ancora non lo so. Forse più no che sì: sono al primo anno e in squadra ci sono diversi corridori più pronti di me. In linea di massima al Tour ho sempre preferito il Giro: lo trovo più a misura d’uomo, meno pericoloso e caotico della Grande Boucle».

Anche Germani e Marziale sono delle tue parti. Vi capita di allenarvi insieme?

«Ci conosciamo e a volte c’incrociamo, certo, ma quando dobbiamo allenarci ognuno tira dritto per la propria strada. Giustamente, aggiungo io. Per fare bene questo mestiere ci vogliono silenzio e concentrazione. E nelle nostre campagne, fortunatamente, questi fattori non mancano. La mia terra non la cambierei con nessun’altra, poco ma sicuro».