GIRO D’ITALIA / Nibali, l’ultima passerella in onore della Sicilia e di Pantani. E non è vero che non si aspetta niente da se stesso

Nibali
Vincenzo Nibali al Giro di Sicilia (foto: LaPresse)
Tempo di lettura: 2 minuti

Era il Giro del ‘99, che avremmo maledetto all’infinito per quella mattina di Madonna di Campiglio. Ma allora nessuno poteva sapere ancora come sarebbe andata a finire. Il Giro partiva in Sicilia e dietro le transenne c’era un ragazzino di Messina, Enzo Nibali, 14 anni. Con lui il cugino Bongiovanni e l’amico Raffaele Allò. «Riuscii a vederlo solo per una frazione di secondo, ma fu abbastanza per emozionarmi nel profondo». Fino a quel momento Pantani lo aveva visto soltanto alla televisione, e l’evento andava celebrato. «Dovremmo tornare qui di notte – propose agli altri due – per staccare un pezzo d’asfalto e conservarlo per sempre. E’ asfalto sul quale è passato il Pirata!». 

Nibali: quella volta in Sicilia a spiare Pantani

Il piccolo Enzo non avrebbe mai immaginato che 23 anni dopo, con il Giro in Sicilia, sarebbe stato lui, a 37 anni, il faro del ciclismo italiano. E’ il suo undicesimo Giro, li ha finiti tutti, anche l’ultimo, che gli è costato assai. Due li ha vinti, sei volte è arrivato sul podio. E se contiamo anche il Tour e la Vuelta, questo che comincia è il suo grande Giro numero 26. Cosa può fare Vincenzo in quest’ultimo scorcio di una carriera enorme? Di sicuro non ha avuto l’inverno che sperava: covid, streptococco, antibiotici, giorni e giorni senza bici. Tutto il lavoro fatto prima l’ha dovuto buttare, per ricominciare. Una volta si sarebbe arrabbiato parecchio, adesso la prende con filosofia, anche se arrivare dietro non gli piace, non gli è mai piaciuto. «Ho imparato che lamentarsi è inutile. Bisogna fare con quello che si ha». 

Sempre nei primi 20: i Giri mostruosi di Nibali

Il suo primo Giro l’ha corso a 22 anni, nel 2007. La prima maglia rosa la indossò nel 2010, dopo la cronosquadre di Cuneo. Pochi mesi più tardi avrebbe vinto la Vuelta. Il primo Giro l’ha vinto nel 2013, l’ultimo nel 2016: tutte e due le volte aveva la maglia celeste dell’Astana, quella che sfoggerà anche a Budapest. Per trovare il suo piazzamento peggiore bisogna tornare proprio al primo Giro: 19°. Che vuol dire che in dieci Giri Nibali è sempre finito nei primi 20. Una costanza mostruosa. 

E’ tornato all’Astana, sperando di ritrovare il Vincenzo a cui riusciva tutto facilmente, o almeno più facilmente degli altri. Si chiama talento, ma non basta a proteggerti dal passare del tempo. Anche i grandi artisti invecchiano, e la mano a un certo punto non è più la stessa che dipingeva capolavori. All’Astana Nibali ha ritrovato Beppe Martinelli, che in quel lontano ‘99 era sull’ammiraglia della Mercatone Uno, a dirigere lo spartito di Pantani. Il destino si diverte a mescolare le carte. 

L’ultima passerella: «Lasciare il segno sarebbe bello»

Che cosa faranno insieme? Siamo curiosi, ma il piano è semplice: prima di ogni altra cosa, questo Giro dovrà essere un tributo al corridore che ha segnato gli ultimi quindici anni del ciclismo italiano, facendoci battere il cuore. «Non mi aspetto niente». Ed è una piccola bugia a fin di bene che possiamo perdonargli. No, non ci crediamo che Vincenzo non si aspetti niente. Anche se è di due Giri fa, alla fine dell’edizione autunnale della corsa rosa 2020, la sua ammissione più amara. «Gli altri vanno più forte». Non ha voluto smettere, dice che si diverte ancora. Che cosa possiamo aspettarci allora? Che si diverta ancora. Se si diverte lui, va a finire che ci divertiamo anche noi. «Non mi aspetto niente. Però lasciare il segno sarebbe bello». Anzi. Bellissimo.