Chris Froome, il vecchio livello è diventata un’ossessione. Vale la pena continuare a soffrire?

Chris Froome in azione al Giro di Lombardia 2021 (foto: LaPresse/Marco Alpozzi)
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Giro del Delfinato 2019, ricognizione mattutina della quarta tappa. Chris Froome studia il percorso della cronometro di 26 chilometri prevista qualche ora dopo. Tra le strade di Roanne si respira un’aria asciutta e si alza a tratti un forte vento. Una di quelle giornate in cui è ancora più importante osservare ogni possibile insidia e memorizzarla per la gara.

Froome è lì, come ogni anno, per affinare la condizione fisica in vista del Tour de France. Una Grande Boucle che, se dovesse vincerla, potrebbe farlo entrare in quella leggendaria cerchia di corridori che l’hanno vinta cinque volte. È lui il capitano del neonato Team INEOS (ex Team Sky) nell’antipasto per eccellenza del Tour de France, una settimana di corsa nel Delfinato, antica provincia francese.

Quella mattina, nella ricognizione della cronometro, il corridore britannico era un po’ raffreddato. «Mi stavo soffiando il naso, quando all’improvviso una folata di vento ha travolto in pieno la ruota anteriore, mi ha fatto sbandare e sono finito contro un muretto». L’impatto è tremendo, la gravità dell’incidente è elevata e così anche le sue condizioni. Se ne accorgono presto i membri della squadra che lo stavano seguendo in ammiraglia, chiamando tempestivamente i soccorsi. Nella notte Froome viene sottoposto ad un importante intervento chirurgico, per rimediare alle molteplici fratture (femore, gomito e alcune costole). I medici non garantiscono che possa tornare al 100%, anche dopo un lungo recupero. La strada sarà in salita, la più dura che Chris abbia mai affrontato.

Chris Froome, un recupero affrettato e il passaggio alla Israel per tornare protagonista al Tour: i risultati vanno in un’altra direzione…

A quasi tre anni dall’incidente l’impressione è che i medici non si sbagliarono, complice forse anche un recupero forzato e troppo affrettato. Un percorso caratterizzato da lavori troppo pesanti, come dichiarò lo staff al suo fianco, per un fisico che stava pian piano tornando alla normalità. Froome non è riuscito a placare lo spirito da grande lavoratore che l’ha sempre contraddistinto e l’enorme determinazione, da sempre il suo punto di forza. Ne è derivato un recupero record che fa pensare anche ad alcune tappe abbreviate per la foga di tornare.

Il Team INEOS capì presto, durante l’anonima stagione 2020, che la situazione era davvero complicata da gestire in un roster molto competitivo come il loro. Anche se le dichiarazioni di Froome hanno sempre profumato d’ottimismo e non dimostravano frizioni con la squadra. Ma Chris, in cerca di più libertà, decise di trasferirsi alla Israel-Premier Tech l’anno seguente. Il corridore britannico non ha mai smesso di credere di tornare ai vertici, come tutt’ora, ma la stagione 2021 è stata oscura. Una brutta caduta all’inizio del Tour de France ha compromesso ancora di più il suo, già deplorevole, rendimento. Ha voluto comunque onorare la corsa arrivando fino a Parigi.

Anche in quest’inizio di stagione 2022 i risultati non sono cambiati, come le sue dichiarazioni pubbliche che continuano a trasudare grandi speranze. Durante il Tour of the Alps, concluso arrivando fuori tempo massimo nell’ultima frazione, ha detto: «Le gambe vanno nella giusta direzione. Nell’ultimo mese posso dire che sento di aver fatto un passo avanti. Ora sento che il mio corpo reagisce diversamente rispetto allo scorso anno». Ha continuato a parlare di obiettivo Tour de France, dove può tornare competitivo come anni fa e lottare per un ottimo risultato. Certo è che essere competitivi nella Grande Boucle a luglio, vuol dire perlomeno farsi vedere in testa alle corse adesso. E, oggettivamente, la fatica di Froome è già tanta nel concludere la gara a venti, trenta minuti dai primi.

Per il momento resta comunque l’impenetrabile fiducia di chi lo circonda, la quale non sembra mai mancata alla Israel che paga il suo stipendio ben cinque milioni e mezzo di euro. A pari cifra di Peter Sagan è il secondo corridore più pagato del gruppo dopo Tadej Pogacar. Un investimento enorme alla luce delle prestazioni di Chris Froome: ampi ritardi e mai nemmeno in fuga.

Criticare e sparare a zero non lo aiuta, ma sarebbe stato meglio chiarire fin dall’inizio che tornare a pedalare gareggiando è stato già un successo. Porsi degli obiettivi più realistici e non caricarsi di aspettative, rischiando di soffrire ancora di più. Perché sappiamo benissimo quanto il primo a patire di questa situazione sia lui, come dichiarò tempo fa rispondendo ad alcune accuse: «A dispiacersi e a soffrire più di tutti se i risultati non arrivano siamo proprio noi atleti».

Forse non ha ancora accettato fino in fondo quello che gli è successo. Il “vecchio livello” che cita spesso sembra sia quasi diventata un’ossessione, per adesso in senso negativo naturalmente. Invece, Froome dovrebbe tenere sempre bene a mente che l’incidente non cancellerà mai tutto quello che ha vinto. Vale la pena continuare a insistere di tornare ai vertici soffrendo e martellando un fisico già minato?

Una questione che attraversa un tema comune a molti grandi atleti nella fase calante della propria carriera. Meglio chiudere in bellezza quando si è ancora ad altissimi livelli, lasciando così solo i trionfi nella memoria comune, oppure ostinarsi a raggiungere gli stessi grandi risultati anche se il fisico non lo permette? L’augurio è che Chris Froome almeno non perda il piacere di pedalare in gruppo e viva con più serenità il finale della sua carriera, opaco o brillante che sia.