Frigo punta la Liegi Under 23: «Arriva al momento giusto e adesso so come si corre al Nord»

Frigo
Marco Frigo in una foto d'archivio ai mondiali di Lovanio 2021
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Archiviato il Circuit des Ardennes con una convincente vittoria di tappa nell’ultimo giorno di corsa, Marco Frigo è rimasto in ritiro da quelle parti insieme ai compagni di squadra della Israel Cycling Academy coi quali parteciperà alla Liegi-Bastogne-Liegi Under 23 di sabato.

«Siamo a Stoumont, a un quarto d’ora da Spa. Nei prossimi giorni pedaleremo sul percorso della gara, io non l’ho mai fatta ma me l’hanno descritta e raccontata. Il tempo è buono, il gruppo anche: ci sono tutti i presupposti per fare bene».

Cosa significa fare bene, Marco?

«Arriva al momento giusto, un periodo buono per me. Quindi direi un piazzamento prestigioso, magari la vittoria. Ma io sono abbastanza freddo, non mi esalto nei momenti belli e non sprofondo in quelli più difficili, quindi non voglio fare proclami né sognare troppo. La forma non mi manca, la squadra è solida: i leader saremo io e Hollyman (4° al Piva, ndr). Ci faremo trovare pronti».

Che gara ti aspetti?

«La seconda parte è molto simile a quella dei professionisti. Mi aspetto una corsa imprevedibile e difficilmente controllabile. Non bisogna andare nel panico se il gruppo si spacca nelle prime battute di gara, ma allo stesso tempo non c’è da tergiversare. Lo scorso anno Hayter vinse proprio muovendosi da lontano».

Quali saranno gli avversari più pericolosi?

«Sinceramente non voglio fare nomi per il semplice fatto che non conosco ancora gli iscritti. Di sicuro le development proveranno a prendere in mano la corsa: i loro organici sono forti, compatti e talentuosi».

Anche tu corri in una squadra di sviluppo, quella della Israel-Premier Tech. Che ambiente hai trovato?

«Sai, militando nella Seg avevo già potuto familiarizzare con un’attività giovanile di alto profilo. Sono abituato a viaggiare, so parlare bene l’inglese, so come comportarmi con uno staff professionale come il nostro. La Israel s’era affacciata prima del Tour de l’Avenir, abbiamo concretizzato dopo la corsa a tappe francese».

Hai riscontrato particolari differenze?

«Non ci mancava assolutamente niente nemmeno alla Seg, ma qui l’attenzione si è ulteriormente alzata poiché siamo il vivaio di una formazione del World Tour. Per il resto direi che si tratta di differenze culturali. In Olanda sono più rigidi e organizzati anche nella vita di tutti i giorni e hanno degli orari, almeno per noi, più ostici: si cenava presto, alle 18 e 30, non un minuto di più».

Marco Frigo del team Israel Cycling Academy

Senti di far parte di una squadra di sviluppo?

«Sì, senza dubbio. Ad esempio, Claudio Cozzi (uno dei direttori sportivi della realtà professionistica, ndr) mi scrive spesso, mi chiede come mi trovo e se mi manca qualcosa. Lo apprezzo perché mi fa sentire importante e coinvolto. Io con la Israel ho firmato un triennale: quest’anno sono tra gli Under 23, ma dalla prossima stagione sarò nel World Tour».

Mondo che hai già avuto modo di conoscere partecipando a Gran Camino, Samyn, Nokere e Bredene: quattro prove importanti portate tutte a termine.

«Gran Camiño è stata la più bella, anche se trattandosi del mio debutto stagionale l’ho affrontata con una forma ancora da rifinire. Mi è piaciuta perché era una corsa a tappe, quelle che io prediligo. Le Samyn, al contrario, è stata la più difficile: ho subito la gara e ad un certo punto ho pensato soltanto ad arrivare. Alla Nokere e alla Bredene, invece, ho reagito meglio, sentendomi più nel vivo della gara e più partecipe delle dinamiche di squadra».

Ti ispiri ad un corridore della Israel in particolare?

«Al Gran Camiño ero in camera con Alessandro De Marchi ed è stato un piacere. E’ un corridore rispettato e stimato tanto dalla squadra quanto dal gruppo, ha sempre fatto parte di grandi realtà e si è tolto lo sfizio di vincere belle gare: poche, magari, ma buonissime. Come lui, anch’io cerco di dare un senso alle prove alle quali partecipo: se finisco fuori classifica, ad esempio, provo ad entrare nelle fughe di giornata».

L’hai fatto recentemente al Circuit des Ardennes, andando a conquistare l’ultima tappa.

«Il livello era alto e il meteo, tra freddo e pioggia, non è stato clemente, tant’è che la terza frazione l’hanno annullata. Sapevo che l’ultima tappa si prestava ad un’azione simile e ne ho approfittato. Questo e quello centrato alla Ronde de l’Isard dello scorso anno sono due successi prestigiosi perché ottenuti in ambito internazionale, ma non sono un punto d’arrivo: ho avuto soltanto la conferma che ho imboccato la strada giusta».

Sei stato brillante anche al Piva, 2° dopo un bel testa a testa finale con Marcellusi, più adatto di te a percorsi di quel tipo.

«Si è trattato di un buon risultato, non lo nego, ma l’amaro in bocca m’è rimasto. Ho sbagliato due volte: avremmo dovuto rendere la corsa più dura, proprio perché Marcellusi era più adatto di me, e nell’ultimo passaggio sullo strappo di San Vigilio mi sono accorto che il 39×30 era troppo duro, avrei avuto bisogno di un rapporto più agile».

Nelle classiche internazionali italiane si corre diversamente rispetto alle prove del Nord?

«Il livello è alto da entrambe le parti, ma in Italia si corre in maniera più dilettantistica: c’è più disordine, più anarchia, manca la squadra forte che prende in mano la situazione e la corsa può scivolare via in qualsiasi istante. In Francia, Olanda e Belgio, invece, l’andamento è più professionistico: c’è più tensione, è necessario saper limare. Forse la corsa è più dura, ma molto meno caotica. Da questo punto di vista influisce la presenza delle development, composte da corridori che seppur giovani hanno già qualche esperienza nel World Tour».

Non ti ritiri praticamente mai, affronti un bel calendario e riesci ad essere competitivo: credi di essere pronto per il World Tour?

«Credo di sì, mi rimane comunque metà stagione per migliorare ulteriormente. Giro e Avenir rimangono due grandi obiettivi, so che Amadori conta molto su di me per le corse a tappe e di questo non posso che essere contento. Ma c’è ancora qualcosa che mi manca».

Cosa?

«Devo diventare un leader più credibile. Non sono ancora pienamente in grado di gestire una squadra interamente al mio servizio, non mi sento del tutto a mio agio. Credo dipenda dal mio carattere, visto che sono timido e freddo. Ma già la Liegi di sabato sarà un bel banco di prova in cui misurarsi».