Prestigio / La Popolarissima di Martinello: «La vinsi nel 1983, il mio anno d’oro tra i dilettanti»

Martinello
Silvio Martinello, radiocronista per Rai Radio 1 durante l'ultimo Giro d'Italia.
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Prima edizione nel 1919, ultima (per ora) nel 2019: già questo dovrebbe essere più che sufficiente per sottolineare il valore storico della Popolarissima, in programma domenica nella provincia di Treviso. L’albo d’oro aggiunge prestigio (a proposito, è la terza prova del Prestigio di quest’anno): Giovanni Pinarello, che nasceva il 10 luglio di cent’anni fa, Mino Bariviera, Marino Basso, Fabio Baldato, Nicola Minali, Gabriele Balducci. E ancora Furlan, Chicchi, Guarnieri, due volte Elia Viviani, Minali (figlio), Lonardi. E Silvio Martinello, che la Popolarissima la conquistò nel 1983. Fu una delle gare che lo lanciò nel professionismo.

Silvio, cosa ricordi di quel periodo?

«Ricordo tutto e molto bene. Già allora la Popolarissima era una gara ambita, tra l’altro uno dei pochissimi festival dei velocisti. Solitamente la maggior parte delle gare dei dilettanti sono mosse e nervose, quella invece si risolveva praticamente sempre in una volatona di gruppo».

Quindi ti si poteva considerare uno sprinter già all’epoca.

«Ero alla mia seconda stagione tra gli Under 23. L’anno prima vinsi soltanto una gara, un buon debutto ma niente di che. Nel 1983, invece, feci il salto di qualità. Centrai una decina di successi, in una manciata di giorni conquistai Popolarissima e Belvedere, arrivando quarto al Piva».

Tra la fine di marzo e la metà d’aprile il Veneto diventava il centro del dilettantismo italiano e internazionale. Come adesso, no?

«Esatto, però all’epoca San Vendemiano non si teneva nelle stesse date di oggi. Allora il poker era composto da Popolarissima, Piva, Belvedere e Recioto. Erano settimane intense, di sfottò e di grande ciclismo. Un po’ come oggi, certo, anche se allora c’erano più corridori e più squadre».

Che gara fu?

«Ricordo che ci tenevo molto, pur essendo io della provincia di Padova e non di quella di Treviso, sulle cui strade si tiene la corsa. Ricordo che si affrontava anche il Montello, tuttavia non una di quelle salite che seleziona il gruppo. La volata fu furibonda e incerta, si trattò di un successo che mi dette molta fiducia. Merito anche della squadra in cui correvo, la Padovani».

Era la formazione di Severino Rigoni, una figura mitica del ciclismo giovanile veneto.

«Grande conoscitore e appassionato di ciclismo, ma allo stesso tempo anche personaggio sui generis. Fu argento olimpico a Berlino nel 1936, chiamò il figlio Olimpio proprio perché nato in quell’anno. Da juniores vinsi per distacco una gara organizzata proprio da loro. Olimpio, che seguiva gli juniores, mi portò dal padre, che invece era al seguito degli Under 23, e così entrai a far parte della loro realtà. Ricordo che quando si trattò di versare il premio di valorizzazione per i punteggi che avevo acquisito da allievo alla Cicli Morello, Severino fece: «Un milione e ottantamila lire per questo qui?».

Sei rimasto con loro due anni, nel 1983 e nel 1984.

«Una scuola di ciclismo, né più né meno. Severino era un duro. Una volta, io e miei compagni in superiorità numerica ci giocammo male le nostre carte e lui ci lasciò all’arrivo, a Mirano, e per tornare ci arrangiammo. Allenamento alle otto, chi non c’era non veniva aspettato. Quando mi ingaggiò, mi portò in un magazzino pieno di bici usate e mi disse: “Tra tutte queste trovane una che ti vada bene”. Poi me ne andai, ricevetti un’offerta alla quale non potevo rinunciare. Glielo dissi per telefono, lui mi salutò e riattaccò bruscamente». 

Però passasti professionista nel 1986: come mai?

«All’epoca c’era il blocco olimpico, una regola che teneva i dilettanti nella rispettiva categoria fino ai Giochi Olimpici. Tuttavia, nel 1985 c’erano i mondiali in Italia, quelli del Montello, e la Federazione spinse i migliori talenti a rimanere un altro anno tra i dilettanti per poi ben figurare nella prova iridata. Andò così e alla fine passai professionista nel 1986. Mi sembra ieri, sono passati quasi quarant’anni».