Storie dall’Oman, Poli e i ragazzi della Novo Nordisk. Ecco perché il diabete non deve impedire a nessuno di correre in bicicletta

Poli
Umberto Poli del team Novo Nordisk alla partenza della seconda tappa del Tour of Oman 2022
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Umberto Poli aveva solo sedici anni quando ha scoperto di avere il diabete di tipo 1. Una notizia scioccante per lui che correva ancora da allievo secondo anno e già si sognava un futuro importante tra i professionisti. A quell’età non si pensa a combattere con malattie simili, non si pensa a stare attenti all’indice glicemico e al cibo che viene mangiato.

«Mi era crollato il mondo addosso – ci spiega Poli – anche perché i medici mi hanno subito detto che non avrei potuto più correre in bici. Ho passato dei giorni terribili, avevo appena firmato un contratto con una squadra e tra me e me continuavo a dirmi “non può essere vero”, si saranno sbagliati».

Poi succede che in realtà quei medici a cui si era rivolto inizialmente si erano sbagliati per davvero. Non sulla diagnostica del diabete, quello purtroppo esisteva davvero, ma sul ciclismo. A chi soffre di questa malattia viene continuamente consigliata l’attività fisica.

«E così sono tornato subito in bici. – continua – Da lì piano piano, senza l’aiuto di nessuno, ho imparato a gestire la corsa e ho coronato il mio sogno. Purtroppo ancora oggi le persone non sanno bene come si sta dietro a uno sportivo con il diabete. Non c’è una grande ricerca dietro, anche perché questo varia di caso in caso».

Umberto ci spiega poi come cambia l’alimentazione di un ciclista diabetico fuori e dentro la corsa. In realtà cambia poco, le chilocalorie spese sono le stesse di un atleta sano e vanno reintegrate con il cibo, chiaramente bisogna stare più attenti.

«Non possiamo non mangiare. Ogni tanto controlliamo se la glicemia sale all’ammiraglia medica. E se serve fare un’iniezione di una o due unità si possono fare, specie se la tappa o la corsa è tranquilla».

Ci sono delle situazioni invece dove la situazione non è tranquilla. E la testa viaggia verso quella fuga alla Milano-Sanremo in compagnia dell’amico Andrea Peron. Svelto, bravo e coraggioso a inserirsi nel gruppetto di dieci che ha resistito al ritorno del gruppo fino ai piedi del Poggio.

«Una giornata indimenticabile – ricorda – quanto è stata dura! Uno sforzo sovraumano di sette ore, lì ho dovuto mangiare molto quindi controllare spesso la glicemia era importante. Oltre al significato agonistico di quella fuga, c’era anche la voglia di far conoscere la Novo Nordisk e trasmettere il nostro messaggio».

La Novo Nordisk è un’azienda farmaceutica che copre circa la metà della produzione di insulina a livello mondiale. La scelta di investire nel ciclismo dal 2013 ha chiaramente un obiettivo: far sapere alle persone che chi ha il diabete non è diverso dagli altri. Può praticare sport a livello agonistico e sognare di vincere le grandi corse.

«Non li ringrazierò mai abbastanza per l’opportunità che ci hanno dato. Tanta gente prima di questo progetto non sapeva nulla: non sapeva cos’era il diabete, come si gestisce. I primi anni i colleghi in corsa ci facevano tante domande, erano curiosi e non si davano una spiegazione al fatto che noi eravamo lì con loro. A forza di esserci ci siamo iniziati a far rispettare».

«Qualcuno ancora non ci ritiene all’altezza, ma così è la vita. Poi alla fine anche qui in Oman stiamo correndo bene. Alla fine noi siamo dei bravi ragazzi che vogliono ispirare altre persone a credere nei propri sogni e dire “sì, ce la possiamo fare anche se abbiamo un problemino”».