Menegotto sogna in grande: «Ho capito quanto valgo e convincerò Amadori a puntare su di me»

Menegotto
Jacopo Menegotto al Giro d'Italia giovani Under 23
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Quinto al Piva, secondo a San Vendemiano e nell’ultima tappa del Giro, nono nella prova in linea dei campionati italiani e quarto alla Bolghera: piazzamenti del genere avrebbero fatto felici molti corridori, ma non Jacopo Menegotto. Non che la passata stagione sia stata negativa, ma forse si poteva fare qualcosa di più.

«Togli pure il forse – puntualizza duramente Menegotto – Mi è mancata la continuità, il parametro che permette di distinguere i campioni dai buoni corridori e i buoni corridori da tutti gli altri. Sono al quarto anno tra i dilettanti e ancora nessuna formazione professionistica è venuta a cercarmi: vuol dire che mi manca ancora qualcosa, che c’è ancora molto da lavorare».

C’è un piazzamento che ti ha deluso più di altri?

«Direi di no. Nemmeno il San Vendemiano che ho perso al fotofinish. Chissà dove si sbaglia quando si perde una corsa come quella per qualche centimetro. Potevamo vincere entrambi, alla fine ha vinto lui, Lapeira. Mi consola sapere di non aver perso contro uno sconosciuto: a fine anno ha battuto Petrucci al Piccolo Lombardia e adesso è professionista con l’Ag2r».

E’ lecito immaginare che San Vendemiano sarà uno degli obiettivi principali della tua stagione.

«Non vedo l’ora che arrivi, voglio rifarmi. Però di obiettivi ne ho tanti: le classiche internazionali che si corrono in Italia tra marzo e aprile, il Giro d’Italia e le prove con la nazionale, Avenir, europei e mondiali su tutte. Voglio convincere Marino Amadori a puntare su di me, per le caratteristiche che ho posso tornare utile in tutte le situazioni».

La volata tra Paul Lapeira (Ag2r Citroen) e Jacopo Menegotto (General Store) al Trofeo San Vendemiano (foto: Riccardo Scanferla – Photors.it)

Come ti descriveresti?

«Sono un corridore completo: non lo dico io, ma i valori rilevati. Potrei difendermi egregiamente anche nella classifica generale delle corse a tappe, ma sono io a non puntarci perché prediligo le classiche. Se sulle salite lunghe resisto bene, su quelle brevi posso addirittura fare la differenza».

Allora non ti mancheranno le occasioni: il calendario degli Under 23 è pieno di percorsi vallonati e misti.

«E’ vero e di questo sono contento: più occasioni avrò, meglio sarà. Il primissimo obiettivo dell’anno sarà la Firenze-Empoli di fine febbraio: per la mia nuova squadra, la Qhubeka, è una sorta di mondiale, come del resto per tutte le formazioni toscane».

Quand’è nata l’opportunità di cambiare squadra?

«Io e Daniele Nieri (il direttore sportivo della Qhubeka, ndr) abbiamo cominciato a parlare ad agosto. Avevo ricevuto altre offerte da formazioni dilettantistiche abbastanza vicine a casa mia, quindi venete, ma fin da subito ho creduto ciecamente nel progetto della Qhubeka e non ho esitato. Credo sia l’ambiente giusto per me».

Perché?

«Oltre alla continuità, a me è sempre mancata quella che in gergo si definisce cattiveria agonistica. Devo imparare a schierarmi al via di ogni gara col pensiero della vittoria. Nel 2021 non sempre l’ho fatto ed è il mio più grande rimpianto. Ma finalmente ho capito quanto valgo e non voglio perdere altro tempo».

Quindi cerchi alla Qhubeka di Nieri quello che la General Store di Furlan non ha saputo darti.

«Alt, io di Giorgio Furlan e della General Store posso solo parlar bene. Mi hanno preso, mi hanno fatto crescere, hanno puntato su di me. Il fatto è che mi sentivo troppo libero. Io so che Giorgio crede in me e mi vuole bene, ma forse proprio per questo motivo a volte è stato troppo buono e comprensivo con me. Ho bisogno di qualcuno che mi sproni con più decisione e con Nieri credo d’averlo trovato».

Nieri
Daniele Nieri, diesse della Qhubeka Continental, al Giro del Friuli U23

Ti trasferirai a Lucca, dove ha sede la squadra?

«Sì, passerò dei lunghi periodi nella casa di Lucca dove vivono anche gli altri ragazzi. Marchiori, oggi professionista con Gianni Savio e mio amico, mi ha detto di non temere: anche lui ha corso per Nieri tra gli Under 23, sa quello che mi aspetta». 

Se avessi saputo della chiusura della squadra World Tour avresti accettato lo stesso?

«Senza dubbio, tant’è che quando ho firmato per loro già si diceva che la formazione maggiore avrebbe chiuso. Io questa scelta l’ho presa per la validità della continental e di Nieri, non per altro. Certo, volendo passare professionista non nego che avere uno sbocco in più sarebbe stato bello».

Un Menegotto professionista, tuttavia, c’è già stato: Roberto, tuo padre, campione italiano tra i dilettanti nel 1990 e partecipante al Giro d’Italia e alla Milano-Sanremo nel 1995. 

«Gran parte della passione me l’ha trasmessa lui. Abbiamo un bel rapporto, non mi catechizza quando sbaglio né mi lascia solo nei momenti difficili. Ha vissuto certe esperienze prima di me e questo mi aiuta molto. Io avevo provato tanti altri sport: calcio, basket, nuoto, rugby, pattinaggio. Ma alla fine, dagli esordienti in poi, ho scelto il ciclismo».

Come mai?

«Perché io sono un introverso e gli sport puramente di squadra non fanno per me. Nel ciclismo è diverso, dagli juniores in poi son più le volte che ci si allena da soli che in compagnia». 

A quali campioni ti ispiri?

«Alaphilippe e Bettini. Tra l’altro anche loro due si assomigliano: attaccanti, furbi, vincenti e completi. Quando Bettini nel 2006 vinse il Lombardia in lacrime per la perdita del fratello, io ero davanti alla televisione: da quel giorno ho nel cuore tanto lui quanto la corsa, anche se riconosco che ce ne sarebbero altre più adatte a me. Ma come si dice, al cuor non si comanda…»