Valoti e la Colpack tornano a lavoro: «Dopo la nostra miglior stagione di sempre ripartiamo dai giovani come Meris»

Valoti
Gianluca Valoti, direttore sportivo della Colpack
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Nella stagione della Colpack le emozioni sono state tante: poche quelle negative, a dir la verità, e non potrebbe essere altrimenti, visto che in una manciata di mesi hanno vinto, tra le altre, San Geo, Piva, Belvedere, Romagna, Liberazione, Giro, cronometro dei campionati italiani, Bassano-Montegrappa, Milano-Busseto e campionato del mondo

Erano la formazione di riferimento e non hanno tradito le aspettative, lanciando ben sei corridori nella massima categoria: Ayuso alla Uae, Verre all’Arkéa, Gazzoli all’Astana, Martinelli e Rastelli alla Bardiani e Baroncini alla Trek. Quest’ultimo ha vinto la classifica individuale del Prestigio (Mattia Petrucci, sempre della Colpack, secondo a pari punti con l’iridato). Stessa sorte per quella a squadre, che ha visto trionfare i bergamaschi con un bel vantaggio sulla Zalf.

Ma il ciclismo, così come lo sport in generale, vive in un perenne presente: al passato, buono o cattivo che sia, non bisogna pensare più di tanto; e il futuro è dietro l’angolo, non si fa in tempo a rifletterci sopra che lui è già arrivato. Ne sa qualcosa Gianluca Valoti, storico direttore sportivo della Colpack, che dell’ultima stagione è stato protagonista, regista e spettatore privilegiato.

Gianluca, si può dire che la scorsa è stata la vostra miglior stagione di sempre?

«Sì, hai detto bene. Sai, in 31 anni di grandi vittorie ce ne sono state tante, del resto non voglio mancare di rispetto a nessuno, però non si può negare la verità: il 2021 è stata la nostra miglior stagione di sempre». 

A gennaio vi aspettavate un’annata del genere?

«Che avrebbe potuto essere una bella stagione lo immaginavamo, ma non sai mai fino a che punto. Un po’ per scaramanzia e un po’ per l’imprevedibilità della vita e del ciclismo abbiamo cercato di lavorare per gli obiettivi principali senza, tuttavia, montarci troppo la testa».

Non dev’essere stato facile, vista la giovane età e il talento dei tuoi ragazzi.

«No, è vero, non è mai semplice tenere tutti nella giusta considerazione, non far mai mancare loro il nostro sostegno e la nostra presenza e far andare d’accordo sogni, ambizioni e caratteri diversi. Qualche momento di tensione può esserci stato, sì, ma rientra nella normalità degli eventi. Briciole, insomma, rispetto alle grandissime gioie provate».

Per te qual è stata la più bella?

«Il mondiale di Filippo Baroncini. D’altronde non mi sono mai nascosto, l’ho sempre detto fin dal 2003, l’anno in cui ho cominciato a fare il direttore sportivo: per chi fa il mio lavoro, e più in generale per il mondo dilettantistico, il campionato del mondo è la corsa dei sogni». 

C’è stato un momento in cui hai capito che Baroncini avrebbe potuto farcela?

«Sì, lo ricordo con esattezza: dopo la tappa di Piancavallo al Giro del Friuli. Era l’inizio di settembre, mancava una settimana all’europeo. Filippo, che non è propriamente uno scalatore, arrivò ottavo su una salita impegnativa e davanti a molti corridori più avvezzi e adatti di lui a pendenze simili. Ricordo che dopo la tappa pensai: chissà, forse è la volta buona».

La Colpack aveva un conto in sospeso con la corsa iridata: nel 2015, infatti, Simone Consonni prese l’argento.

«Quel podio mi è tornato in mente spesso e volentieri, ero sicuro che ormai la nostra occasione era passata e purtroppo l’avevamo persa. E invece, con una prova maiuscola e al termine di una stagione quasi perfetta, Filippo Baroncini ci ha regalato una vittoria splendida. Io ero in Belgio, subito dopo il traguardo, e non sono proprio riuscito a trattenere le lacrime».

Una vittoria diversa, ma ugualmente significativa, è stata quella di Ayuso al Giro d’Italia. Forse anche più pronosticabile di quella iridata di Baroncini.

«Fino ad un certo punto. Sapevamo che Ayuso era forte, fortissimo: di testa, di gambe, per come correva e per le ambizioni che covava. Però Juan aveva pur sempre 18 anni e in dieci giorni l’imprevisto può sempre capitare. Invece è andato tutto bene: la fortuna ci ha assistito e lui si è rivelato devastante».

Non ti stupisce, dunque, che sia passato alla Uae a metà stagione.

«Nel suo caso no, non dico che tra gli Under 23 sembrava sprecato ma poco meno. Per certi versi, ovviamente, è ancora acerbo e deve crescere, ma credo sia giusto che questo processo per lui prosegua tra i professionisti».

Hai detto “nel suo caso”, come se nutrissi invece dei dubbi sul passaggio di altri tuoi corridori.

«Non devo nascondermi, ho già avuto modo di parlarne coi diretti interessati: secondo me corridori promettenti ma giovanissimi come Martinelli e Verre avrebbero potuto correre un’altra stagione tra i dilettanti per formarsi ulteriormente. Non gli avrebbe fatto male: complice la pandemia, nel 2020 hanno corso poco o nulla, quindi il 2021 è stata la loro vera prima stagione ad alti livelli». 

Come ci si comporta in situazioni del genere?

«Non ci sono leggi, invertire una tendenza è estremamente difficile. Mi metto nei loro panni: come fai a rifiutare un’offerta di una Professional o addirittura di una WorldTour? Questi ragazzi sentono spesso ripetere che il treno passa una volta sola, probabilmente hanno paura di perderlo e ci saltano sopra alla prima occasione utile».

E’ una questione di maturità e sensibilità?

«Non sempre, non la voglio mettere su questo piano, significherebbe screditare e mancare di rispetto a Martinelli e Verre, ai quali sono affezionato. A volte si sbaglia per immaturità e scarsa sensibilità nell’intuire le conseguenze di certe scelte, ma non è mica detto che loro abbiano sbagliato. Evidentemente si sentivano pronti per provarci. Ripeto, ormai la tendenza è questa: è difficile tornare indietro». 

Però nella Colpack c’è un corridore che ha rifiutato il professionismo per rimanere un altro anno con voi: Mattia Petrucci.

«Sì, sarà uno dei nostri leader, probabilmente il principale. E’ un corridore completo ed esperto, in più la scelta di rimanere con noi denota maturità. Un rischio rifiutare il professionismo? Per certi versi sì, ma se lui non si sentiva pronto avrebbe rischiato di fare una brutta fine. Bisogna essere convinti delle decisioni che si prendono. Spero che tutti questi ragazzi lo siano».

Oltre a Petrucci su chi punterete nel 2022? L’organico rimane valido, seppur non forte come quello dello scorso anno.

«Ripetere una stagione come questa sarà molto difficile. Noi ci proveremo, ovviamente, ma non ne saremo ossessionati: sarebbe deleterio. Abbiamo una buona batteria di velocisti: Boscaro, Umbri, Quaranta, Persico. Negli sprint di gruppo saremo molto competitivi». 

E nelle prove più impegnative, invece? Chi affiancherà Petrucci?

«Ci sarà sicuramente Sergio Meris, un corridore che ha già parzialmente dimostrato d’essere un ottimo scalatore. Più che una scommessa, per me si tratta di una promessa. Potrebbe essere il suo anno, adesso che la scuola non è più tra i suoi impegni. E poi non voglio dimenticare O’Connor e Sanchez, i nostri recenti acquisti internazionali, e Lorenzo Balestra, al secondo anno tra i dilettanti dopo il primo trascorso alla Beltrami». 

Un gruppo molto giovane e pieno di scommesse, Gianluca.

«Dopo un’annata così vincente è quello di cui abbiamo bisogno: rimetterci in gioco, inseguire obiettivi meno scontati da conquistare, lavorare con corridori più acerbi dei vari Gazzoli, Baroncini e Rastelli, giusto per fare tre nomi. E’ come se si fosse chiuso un ciclo: abbiamo vinto tantissimo e fatto passare ben sei corridori tra i professionisti. Abbiamo preso anche Romele, Kajamini e Raviele. Adesso ripartiamo con altri stimoli e io, sinceramente, non vedo l’ora».