Alla scoperta di Simone Raccani: «Io e Faresin, due introversi che vogliono ripetere il trionfo di Capodarco»

Capodarco
La vittoria di Simone Raccani al GP di Capodarco 2021 (foto: Riccardo Scanferla - Photors.it)
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Alla partenza del Gran Premio di Capodarco, Simone Raccani osservava Andrea Piccolo senza sapere cosa aspettarsi da lui, da un grande talento del ciclismo italiano che avrebbe dovuto debuttare tra i professionisti con l’Astana e che invece, per colpa di alcuni problemi di salute intorno ai quali aleggia ancora più di qualche dubbio, con la formazione kazaka non ha mai debuttato. Per tornare a correre e ad assomigliare ad un corridore ha preferito tornare per qualche mese tra i dilettanti con la maglia della Viris-Vigevano, per la quale corre anche il fratello Simone.

«Di lui sapevo quello che mi interessava di più – ricorda adesso Raccani – Talentuoso, vincente, desideroso di rifarsi. Una mina vagante, insomma. Sinceramente non mi sono stupito quando, nel finale, io e il mio compagno Tolio ce lo siamo ritrovati accanto».

A quel punto come vi siete organizzati?

«Io probabilmente ero quello che aveva qualcosa in più. Sull’ultimo strappo ho affondato il colpo e ho visto che Piccolo ha ceduto di schianto. Comunque quello che ha fatto è stato sorprendente: arrivare secondo in una gara dura e calda come Capodarco senza aver corso nei mesi precedenti vuol dire essere un gran corridore».

Dobbiamo considerarti uno scalatore, allora.

Sì, senz’altro il mio meglio lo do quando la strada sale. Però ho ancora bisogno di tempo per capire se sono più adatto alle classiche o alle corse a tappe».

Prediligi le salite lunghe e costanti oppure quelle brevi e con pendenze arcigne?

«Negli ultimi anni ho capito questo: su quelle lunghe e costanti mi trovo più a mio agio, mentre quelle brevi e dure mi tornano buone come trampolini soltanto se inserite in gare lunghe».

Capodarco è stato l’esempio perfetto.

«Esatto, in linea di massima salite come quelle di Capodarco non sono le più adatte alle mie caratteristiche, ma in un contesto del genere, come dicevo gara dura, lunga e calda, la musica cambia. Se penso al professionismo mi viene in mente il Lombardia, che tra l’altro è anche una delle mie gare preferite». 

A proposito di professionisti, quest’anno hai gettato le basi per fare il grande salto nel 2023?

«Sarebbe bello e in linea con la mia idea: ho imparato a conoscermi, se passassi professionista adesso soffrirei troppo, ho bisogno di crescere con calma. La prossima stagione sarà la mia terza tra i dilettanti, quindi perché no? Però, se devo essere sincero, non ci penso quasi per niente. Se faccio tutto quello che devo fare e rimango sereno, il professionismo arriverà di conseguenza». 

Decisiva sarà anche l’esperienza della Zalf, della quale fai parte da quest’anno dopo un anno incolore alla Beltrami.

«Assolutamente, ma da questo punto di vista non ho dubbi: la Zalf è una garanzia, ogni anno da una vita riesce a valorizzare tanti corridori e so di essere in buone mani. Lo scorso anno alla Beltrami è stato difficile, ero al debutto nella categoria e la pandemia non mi ha certamente aiutato. Li ringrazio comunque dell’occasione».

Caratterialmente come ti descriveresti, Simone?

«Introverso, specialmente con le persone che non conosco. Faccio fatica ad abituarmi e a rompere il ghiaccio, mettiamola così. E poi determinato: quando mi metto in testa qualcosa non me la leva più nessuno».

Come riuscite a comunicare tu e Gianni Faresin, probabilmente più introverso di te?

«E’ stata dura, all’inizio non facevamo una parola in due e i momenti di silenzio e imbarazzo erano tanti. Col tempo, tuttavia, la situazione è migliorata e credo di poter dire che abbiamo un ottimo rapporto. L’ambizione e la passione per il ciclismo sono il nostro linguaggio comune».

Quest’anno sono arrivate due vittorie, Capodarco e il Giro della Provincia di Biella, e tanti altri piazzamenti. Quali sono i tuoi obiettivi per il prossimo anno?

«Non mi piace parlarne ora, non voglio fare proclami né mettermi troppe pressioni. Basta una caduta, un infortunio o un imprevisto e i piani inevitabilmente cambiano. Le corse nelle quali vorrei mettermi in mostra sono le classiche internazionali che si corrono in Italia e il Giro, la corsa delle corse. Andrò per raccogliere il risultato migliore compatibilmente con la forma che avrò, di promesse non ne faccio. A tenere un profilo basso l’ho imparato seguendo Nibali».

E’ lui il tuo corridore di riferimento?

«Sì, io crescevo come ragazzo e lui cresceva come corridore, passando da essere un giovane promettente a un campione affermato. Di lui mi piace il piglio: serio e riservato, parla poco ma parla bene, in carriera ha vinto anche grazie all’astuzia. Un esempio da seguire».

Come passa il tempo libero un ragazzo riservato e introverso?

«Fino a qualche anno fa andavo a pescare, ovviamente da solo: riflettevo e mi rilassavo. A quel laghetto sono molto affezionato. Per il resto direi niente di notevole. Mi sono diplomato all’istituto tecnico, per ora dell’università non se ne parla. Sono interamente votato al ciclismo».

Perché hai smesso di andare a pescare?

«Non c’è un motivo preciso: d’inverno fa freddo, nei mesi tiepidi e caldi sono impegnato con gli allenamenti e le corse. Sai, di tempo il ciclismo ne esige molto». 

E questo per te è un peso?

«Relativamente. Di sacrifici e rinunce ce ne sono, ma secondo me fanno parte della vita, non soltanto del ciclismo. Se la mia quotidianità fosse un’altra dovrei comunque dire di no a qualcosa. Le sopporto piuttosto bene perché servono a farmi rendere il meglio possibile nello sport che amo. E nel quale voglio continuare a togliermi belle soddisfazioni…»