Tony Martin, la paura e l’addio al ciclismo: «Troppe cadute, non voglio più finire in ambulanza»

Tony Martin in azione nella Change-Laval, quinta tappa, a cronometro, del Tour de France 2021 (foto: A.S.O./Pauline Ballet)
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“Do or die”, negli ultimi anni il clima nelle gare di ciclismo è diventato pesante, a tratti pesantissimo. I corridori sono spesso con le spalle al muro e rischiano la pelle sulle strade. Uno sport bellissimo e spietato allo stesso tempo, quel tempo che per ben quattro volte ha regalato a Tony Martin la maglia di campione del mondo e al quale il tedesco ha scelto di non dare futuro a partire dalla prossima stagione. Paure, rischi, i pensieri che vanno ai figli e alla famiglia mentre corri rischi in gruppo. L’ex corridore della Jumbo-Visma si è sfogato sul tema della sicurezza, aprendo un vaso di Pandora che ormai è stracolmo. Vediamo cosa ha detto, su quibicisport.

Tony Martin, la rabbia, la paura e l’addio al ciclismo: «Le strade vanno rese più sicure»

La caduta a inizio Tour de France 2021, per colpa del famoso cartello con la “signora in giallo” ha acuito le considerazioni di Tony Martin sulla Grande Boucle. Una corsa dove la caduta è sempre dietro l’angolo: “Quest’anno mi sono trovato per due volte sull’ambulanza e ho cominciato a pormi delle domande, ‘Sei papà di due bambini, ne vale la pena?’. Negli ultimi due o tre anni al Tour de France sono sempre stato un po’ timoroso, non pauroso, ma timoroso che potessi finire a terra. Credo che adesso ci sia molto stress, molto nervosismo anche nelle corse meno importanti, e tutto questo determina grandi cadute. Ci sono sempre più cadute, sempre più corridori devono abbandonare le gare a causa delle cadute e io non volevo più correre tutti questi rischi“.

Le strade, secondo il campione tedesco, vanno rese più sicure: “Credo che non si possa chiedere ai corridori di non prendere dei rischi dovete capire che noi corridori ci alleniamo 250 giorni all’anno per raggiungere i massimi livelli, per cui quando siamo in corsa non puoi chiedere a un atleta di frenare prima. Ci saranno sempre dei corridori che freneranno all’ultimo, ci saranno sempre dei rischi, è impossibile aumentare la sicurezza intervenendo in questo modo. Se rendessimo le strade un po’ più sicure o almeno i punti più critici, credo che un bel po’ di cadute verrebbero evitate“.

La caduta al Giro di Polonia: una lezione che forse all’UCI non è servita

Una parentesi anche sul Giro di Polonia 2020, con la pazzesca caduta di Fabio Jakobsen, salvo per miracolo: “Mi chiedo come si faccia a mettere un arrivo in discesa dove si va ad ottanta all’ora, se l’arrivo fosse stato diverso la caduta non sarebbe stata così orribile. Se avessimo eliminato questo arrivo in discesa e magari quelle transenne, che non erano le migliori, credo che la stessa caduta sarebbe stata normale, una di quelle che vedi cinquanta volte l’anno. Qualcuno magari si sarebbe fatto male, ma certo non sarebbe successo quello che è successo a Jakobsen“.

L’invito è chiaramente per l’Unione Ciclistica Internazionale“Credo che delle volte possa essere anche semplice intervenire sull’aspetto della sicurezza, per cui mi arrabbio molto quando vede che l’UCI arriva a emettere delle regole abbastanza sciocche come il proibire la posizione del ‘super tuck’ in discesa. Ok, fatelo pure, ma a me sembra di capire che sia un modo per lavarsene le mani e dire ‘Sì, abbiamo fatto qualcosa per rendere le gare più sicure’. Onestamente, non ho mai visto un corridore cadere perché utilizzava la posizione del ‘super tuck’ in discesa”.