Le verità di Ballan, l’ultimo italiano sul podio della Roubaix: «O la odi, o la ami. Pazzesco correre con Boonen e Cancellara. I miei favoriti, Van Aert e Pidcock»

Alessandro Ballan in una foto d'archivio, al termine della Parigi-Roubaix 2012, conclusa al terzo posto
Tempo di lettura: 3 minuti

Nei settori di pavé senti una melodia particolare, distante da qualsiasi altro luogo, da qualsiasi altra gara. E sì che sulle pietre ci si passa anche altrove e sempre in bicicletta. Ma lassù è diverso, completamente diverso. Non c’è nulla che ci si avvicini. Odi et amo, non esiste via di mezzo, non è prevista scorciatoia. Tre giorni al grande e atteso ritorno della Parigi-Roubaix e con Alessandro Ballan, ultimo italiano a salire sul podio nel velodromo della leggenda, su quibicisport viaggiamo nel tempo all’interno del tempio del ciclismo mondiale, il Maracanã delle due ruote: dai duelli con Tom Boonen e Fabian Cancellara alla corsa magnifica di domenica.

Ballan, ci siamo. Domenica torna la Parigi-Roubaix, a una settimana dal Mondiale che finale di stagione!

«Guarda caso capita la domenica successiva di un Mondiale corso nelle Fiandre. Come clima di avvicinamento, è uguale a quello della primavera: prima il Fiandre e poi la Roubaix. I tifosi di quella zona, Belgio, Francia e Olanda in particolare saranno entusiasti. Credo che i corridori che andranno forte domenica saranno quelli che abbiamo visto al Mondiale».

Tre volte terzo, sul podio con due giganti: Boonen e Cancellara. Che corsa era per lei la Roubaix?

«Non l’ho amata, ma l’ho odiata nei primi tre anni. Per me era una corsa molto sfortunata: tante cadute, i primi tre anni sono caduto ben sei volte. Non era una gara che mi piaceva e non la affrontavo con lo spirito giusto. Poi è arrivato il primo podio e da lì ho iniziato ad apprezzarla e la volontà di fare bene come al Fiandre è cresciuta. Un anno l’ho saltata per il virus, un altro per l’indagine: è una gara che necessita di tutto. Forza, condizione, tanta tanta fortuna ed esperienza perché bisogna conoscere le strade, i punti particolari e a mio parere a me è mancato un po’ quello nelle mie ultime Roubaix».

A due passi dalla vittoria, resta l’ultimo italiano ad aver lottato con i più forti. Cosa gira nella testa di un corridore mentre respira, scatta e si misura con loro?

«Sinceramente per me rimanere con due campioni di quel calibro era già un gran successo. Loro si sono divisi una gran fetta di gare tra Fiandre e Roubaix in quel periodo, agli altri è rimasto ben poco. Già rimanere con loro per me era come una vittoria. Dopo è logico che quando arrivavo lì a giocarmela, ero già battuto: Boonen era velocissimo, Cancellara mi poteva lasciare lì da un metro all’altro. La mia corsa era più che altro per non farmi riprendere dietro che per la vittoria finale».

Cambierebbe uno di quei terzi posti con la vittoria?

«Se mi guardo indietro lo farei volentieri. Da italiano vincere il Fiandre, la Roubaix e il Mondiale sarebbe stata una cosa riuscita a pochi. Dall’altro dico di aver fatto piazzamenti dietro a questi grandi campioni e per me è già un successo».

Da Ballerini a Colbrelli e Trentin, dagli italiani cosa si aspetta?

«Una grande gara. Ballerini e Trentin se non hanno problemi post-caduta di domenica scorsa al Mondiale, è logico che si ritroveranno la grande condizione dimostrata a Leuven, c’è solo una settimana di differenza. Si tratta dell’ultima gara dove hanno l’opportunità di fare bene, perché Il Lombardia è troppo duro per questo tipo di corridori».

Suggerimenti tattici e chiavi di lettura della gara?

«Il consiglio è quello che mi dava Franco Ballerini. Lui mi diceva sempre di dividere le gare in tre: quindi di fare una vera e propria volata nel primo settore di pavé, perché è importantissimo essere davanti lì dove si screma il gruppo e si verifica la prima selezione. Il secondo arrivo è all’uscita della Foresta di Arenberg, tutti sanno quanto sia brutta e pericolosa e da qui in poi inizia una gara a se. Dopo la Foresta inizia la vera Roubaix. Ballerini era unico, aveva una lettura di gara che pochi hanno e al Mondiale vinto nel 2008 fu lui stesso a dirmi di partire dal centro di Varese. Era un uomo squadra, nonostante fossimo tanti campioni».

Favoriti principali?

«Van Aert, Van der Poel e se la farà anche Julian Alaphilippe».

E Pidcock?

«Domenica al Mondiale ha un po’ dormito come il nostro Sonny Colbrelli, ma è un nome da mettere sicuramente sotto la lente».