AMARCORD/66 Vuelta 2017, il glorioso canto del cigno di Contador. Sull’Angliru la sua impresa più bella

AMARCORD/65 Vuelta 2017, il glorioso canto del cigno di Contador. Sull'Angliru la sua impresa più bella
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Osanna per Froome, in trionfo alla Vuelta; applausi per Nibali, ottimo secondo. Ma la copertina, dopo il Giro di Spagna del 2017, spettò ad Alberto Contador, che con quella corsa disse addio al ciclismo secondo il suo stile, lasciando una scia di emozioni e spettacolo.

Il “Pistolero”, superata la soglia dei 34 anni, si presentò al suo ultimo appuntamento portando in dote una carriera da fuoriclasse, benché turbata dall’aneurisma cerebrale che lo condusse a un passo dalla fine a 22 anni e da un lunghissimo e controverso caso doping, costatogli due (un Tour e un Giro) delle nove grandi corse a tappe messe in bacheca.

Quella del 2017 era la sua quinta Vuelta, preceduta da un bilancio di tre vittorie e un quarto posto. I piani per il quarto sigillo saltarono dopo soli tre giorni quando, fiaccato da un problema intestinale, perse 2 minuti e mezzo sul traguardo di Andorra.

A quel punto, c’era solo da vendere cara la pelle. Sorretto da un condizione in crescita, Contador attaccò ovunque potesse, risalendo lentamente la china. Nel durissimo arrivo di Los Machucos andò via leggero e imprendibile, mettendo in crisi Froome e mancando la vittoria solo perché l’austriaco Denifl, attaccante di giornata, riuscì a conservare un vantaggio minimo. In classifica Contador arrivò a 3 minuti e mezzo da Froome: senza la defaillance fisica di Andorra poteva davvero lottare per vincere.

Salutò con l’ultimo show in salita: il suo “sparo” a 13 chilometri dalla vetta sembrò un suicidio

C’era però l’ultimo rendez vous con la grande montagna, prima della passerella madrilena: il “mostro” Angliru, una delle salite più perfide del continente. Contador lo aveva domato nove anni prima, volando verso il suo primo trionfo alla Vuelta. Stavolta la terribile ascesa non poteva dargli la vittoria finale, ma sembrava messa lì apposta per consentirgli un congedo memorabile.

La sua recita cominciò sui primi tornanti dell’Angliru, a 13 chilometri dalla vetta, quando lasciò il gruppo dei migliori, nel quale Froome e Nibali si giocavano la corsa. Su una salita del genere, più che un attacco sembrò un suicidio a lunga gittata. Invece lo spagnolo, danzando sulla sella alla sua maniera, riprese e staccò tutti i reduci di un gruppetto di attaccanti, tenendo alto il ritmo.

Soler fu l’ultimo a tenerne la ruota, prima del volo solitario fino al traguardo

Alla ruota gli rimase solo un giovane e promettente connazionale, il ventiquattrenne Marc Soler. Per poco però, perché a circa 5 chilometri e mezzo dal traguardo, Contador riprese ad ondeggiare sulla sella e lo schiantò. Gli rimaneva l’ultimo scoglio, la terribile Cueña Les Cabres, con un tratto al 24%. Lo spagnolo l’affronto tirando fuori l’anima, poi allungò nell’ultimo tratto in falsopiano, mentre uno scatenato Froome, in compagnia del gregario Poels, si avvicinava fino a scorgelo tra le curve.

L’arrivo solitario scatenò un gigantesco sospiro di sollievo: osando oltre il prevedibile, Alberto Contador si era guadagnato un’uscita di scena memorabile. Il giorno dopo, a Madrid, il suo quinto posto finale fu quasi un dettaglio, ma andava a completare un quadro statistico esaltante: al netto di squalifiche e infortuni, Contador aveva portato a termine la sua tredicesima grande corsa a tappe, arrivando per undici volte tra i primi cinque. Così fanno solo i grandi campioni.