Il grido di Olivano Locatelli: «Rispettate Aru, l’uomo prima di tutto. E il sistema ciclismo va riorganizzato»

Locatelli
Olivano Locatelli in una foto d'archivio al Giro d'Italia U23
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«Fabio Aru è un professionista con P maiuscola: chi lo ha denigrato in questi anni ha fatto un grossissimo  errore di valutazione che dimostra quanta pochezza umana, purtroppo, ci sia al giorno d’oggi». Olivano Locatelli non ha peli sulla lingua e non si nasconde. Il suo rapporto con il Cavaliere dei Quattro Mori è sempre stato forte, paterno sin da quando lo scoprì da Juniores al Giro della Lunigiana e intravide in lui il motore di un numero uno. «Eppure c’è chi, senza aver mai praticato il ciclismo, gli dà dello scansafatiche, questo è inaccettabile», sbotta Locatelli, bergamasco verace che fu direttore sportivo tra gli Under 23 di Aru nel Team Palazzago, uno fucina di talenti del ciclismo nostrano.

Fiducia e rispetto

Il legame d’affetto tra Locatelli e Fabio Aru non si è mai interrotto: ha superato difficoltà, cambi di maglia, contesti che inevitabilmente sono mutati. Lo storico direttore sportivo ha sempre fatto sentire la sua vicinanza al vincitore della Vuelta nel 2015, come durante questo inverno in cui il capitano della Qhubeka ha deciso di rimettersi in gioco nel cross. «C’è stato chi ha storto il naso, criticando anche questa scelta» – racconta Locatelli – «senza accorgersi che dal punto di vista psicologico poteva essere fondamentale: Fabio veniva da un momento prolungato delicato, dove problemi fisici e una gestione non ottimale delle difficoltà affrontate lo hanno inevitabilmente demoralizzato. E non è certo l’unico: penso ai vari Quintana, Dumoulin, Bardet. C’è chi crede che un corridore debba essere impeccabile perché guadagna un buon stipendio, senza minimamente immaginare tutto ciò che sta dietro una professione dura e dove la tensione è sempre elevatissima. Fare il corridore non è compito facile, ci sono tantissimi i sacrifici da fare che alla lunga pesano, che destabilizzano e che, se non vissuti sulla propria pelle, è davvero arduo comprendere».

Quando Locatelli parla di Aru emerge trasporto, passione, un bene sincero che oltre ogni risultato, ogni vittoria, ogni piazzamento prestigioso. «Fabio non è un lazzarone, un poco di buono non dedito alla sua professione: come possono anche solo averlo pensato le stesse persone che lo tifavano?», sbotta con profonda amarezza. «Ha sempre fatto tutto ciò che doveva nei minimi dettagli, andando ben oltre le tabelle di allenamento: Fabio è un professionista maniacale, ha rinunciato a tutto per il ciclismo persino al concedersi un dolce. Trovo tremendamente squallido il trattamento che gli è stato riservato».

Locatelli parla con competenza, senza farsi prendere dalla rabbia che inevitabilmente traspare quando si parla di un atleta che ha cresciuto, che ha visto vincente e al contempo toccare il fondo. «La crisi di Fabio è la crisi di tantissimi corridori, è tutto il sistema da riorganizzare: il ciclismo sta diventando come la Formula Uno. A questi ragazzi tolgono l’estro, tolgono il pathos, tolgono i sogni. Non parliamo, per quel che riguarda i giovanissimi, dei genitori che caricano di aspettative i loro ragazzi senza che abbiano cominciato a fare realmente sul serio. A Fabio gli ho sempre ripetuto da dilettante che non bisogna mai adagiarsi sugli allori, è fondamentale avere il costante desiderio di andare oltre i propri limiti. Adesso invece? Nulla più: non c’è pazienza e si bruciano le tappe. Questa è la generazione del tutto e subito e le cose si mettono sempre peggio».

Il futuro

Come vede il futuro del Cavaliere dei Quattro Mori Locatelli? La Vuelta di Spagna sarà veramente l’ultima corsa dello scalatore di Villacidro? «Fabio è un uomo maturo, con la testa sulle spalle: se ha preso questa decisione lo ha fatto ponderando bene sia i pro che i contro. Nulla toglie che potrebbe tornare indietro sui suoi passi. Può dare ancora tanto al ciclismo: uno come lui ha almeno altri 5,6 anni davanti per tornare a recitare un ruolo da protagonista nelle grandi corse a tappe. Attualmente è al 60% delle sue potenzialità, può crescere ancora rimanendo sereno e valutando giorno per giorno la sua condizione. L’ultima parola spetta a lui ma le persone che lo hanno offeso in queste stagioni sfortunate è bene che tengano a mente che Fabio Aru può fare ancora tanto e che non è un corridore finito ma un professionista che può tornare a brillare».