GIRO D’ITALIA U23 / Cantoni, è sbocciata una rosa: «A chi mi ispiro? A Gino Bartali»

Giro d'Italia U23
Andrea Cantoni festeggia la prima maglia rosa del Giro d'Italia U23 (foto: Giro d'Italia U23)
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A Riccione, sul traguardo della prima tappa del Giro d’Italia Under 23, è arrivato per primo il corridore con meno giorni di corsa all’attivo nel 2021. È lui stesso, Andrea Cantoni, a definirsi così. «Negli ultimi due o tre anni – spiega – non me n’è andata dritta una. La vittoria di ieri la dedico a tante persone, ma in particolare a me stesso. Ieri sera mi sono dato una pacca sulla spalla e mi sono detto bravo».

Andrea, quante corse hai disputato quest’anno?

«Se non sbaglio questa è la settima, sono reduce da una frattura alla cresta iliaca, per questo sono ancora incredulo e non ho realizzato quello che ho fatto ieri».

A proposito, cos’hai fatto ieri?

«Principalmente ho dato retta a quello che ci ha detto Coppolillo, il nostro direttore sportivo: attaccate e divertitevi, tanto la fatica c’è anche se uno non si diverte, quindi tanto vale provare a godersela».

Conoscevi il percorso?

«Sì, perché sono di Cesena. E infatti, conoscendolo, ad un certo punto ho capito che potevamo farcela: il gruppo ci ha lasciato troppo vantaggio e si è mosso troppo tardi».

Perché hai deciso di provare la stoccata solitaria?

«Perché c’era un corridore veloce come Bobbo, che difatti ha vinto la volata per il secondo posto, e perché alla fine ci saremmo guardati rischiando così d’essere ripresi».

Dopo il traguardo cos’è successo?

«Bella domanda, ogni tanto mi ritorna in mente qualche nuovo frammento. Più che altro lacrime, direi. Parole poche».

A cosa erano dovute quelle lacrime?

«Ai miei trascorsi sfortunati, al nostro piglio finalmente premiato, all’aver centrato la maglia rosa nella nostra terra, quella che dà il nome alla nostra squadra».

Ieri sera, quando sei rimasto da solo, cos’hai pensato?

«Ho cercato di ritrovare la calma, non ero un campione prima e non lo sono adesso. E so anche che questa maglia rosa la perderò, ma venderò cara la pelle: per levarmela dovranno darsi da fare».

Avete festeggiato?

«Abbiamo aperto qualche bottiglia, ma niente di esagerato. Oggi si riparte e io sono un ragazzo pacato, che le emozioni preferisce tenerle per sé. Però una cosa la devo dire».

Prego.

«Mai faticato tanto ad addormentarmi come ieri sera».

Ti reputi un attaccante?

«Adesso sì, sento d’aver trovato la mia vocazione. Devo ringraziare Coppolillo, è stato lui a tirarmela fuori. I miei direttori sportivi nelle categorie giovanili mi dicevano d’aspettare, di temporeggiare, di non aver fretta…»

E questo ti faceva vincere?

«No, e infatti adesso me ne pento. Me lo dicevano perché, essendo io un passista-scalatore, non potevo attaccare in salita come un dannato. Non gliene faccio una colpa, però diciamo che adesso corro più volentieri».

Hai pensato che meno di una settimana fa Bernal ha conquistato la tua stessa maglia, ma riservata ai professionisti?

«Mi è passato per la testa, sì, volendo fantasticare diciamo che indossiamo la stessa maglia. E il Giro è la corsa dei miei sogni, tra l’altro. Ma per festeggiare e sognare ad occhi aperti adesso non ho tempo».

Come continua il tuo Giro?

«Difendendo la rosa finché avrò energie e poi inseguendo altre soddisfazioni».

Punterai alle tappe o alla generale?

«A quello che viene. Siamo venuti per le tappe, ma a me la generale non dispiace: dipende se reggerò o meno, quest’anno ho corso poco, sono un’incognita prima di tutto per me stesso. Non sono mica Bartali…»

Che c’entra Bartali?

«C’entra a prescindere, è il mio ciclista di riferimento, la sua filosofia di vita mi ha sempre affascinato. E poi era un campione, uno degli scalatori più forti della storia».

Al professionismo ci pensi?

«Non ne ho il tempo, non è che una vittoria al Giro fa la differenza tra un brocco e un campione. Non riesco a vedere oltre la tappa di oggi, altro che professionismo…»