In Olanda sulle tracce di Marco Frigo: «Vivo tra Amsterdam ed Eindhoven e sogno il Giro d’Italia. Alla Seg su consiglio di Affini e Dainese»

Marco Frigo, atleta della SEG Racing Academy (foto: George Deswizen)
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Subito dopo aver sbattuto violentemente a terra nella seconda tappa del Tour of Rhodes, Marco Frigo ha capito che oltre al dolore avrebbe dovuto gestire anche qualche critica. Più di un addetto ai lavori, infatti, ha biasimato la sua decisione di andare a correre in Olanda, alla Seg Racing Academy, la formazione che ha preparato al professionismo anche Edoardo Affini e Alberto Dainese. «Me l’aspettavo – dice Frigo – sono il primo ad essere dispiaciuto per la poca continuità dell’ultimo anno e mezzo. Ma di dubbi non ne ho mai avuti. Certo, questa caduta non ci voleva proprio. Ero nel gruppo di testa in un tratto di discesa, improvvisamente i corridori davanti a me hanno scartato per evitare un masso, letteralmente un masso, in mezzo alla sede stradale. Era sabato 10 aprile, non me lo scordo. Frattura scomposta alla clavicola e una placca, tanto per gradire».

Sarebbe dovuto rimanere fermo per 30 giorni, Frigo, e invece dopo appena due settimane era di nuovo in sella. D’altronde c’è una stagione molto impegnativa da preparare. «Innanzitutto il Giro, al quale non voglio proprio rinunciare, anche se la mia condizione non sarà delle migliori. In estate si corrono anche Val d’Aosta e soprattutto Tour de l’Avenir, ma in quel caso la decisione spetterà a Marino Amadori. Così come per quanto riguarda europei e mondiali. Insomma, di carne al fuoco ce n’è tanta, speriamo di non far bruciare niente…». Una settimana dopo la fine del Giro, poi, ci sarà la prova in linea dei campionati italiani: una corsa che non può lasciarlo indifferente.

Quando nel 2019 si laureò campione italiano a Corsanico, Frigo era a malapena diplomato. Due giorni prima, al venerdì, aveva avuto l’orale. E infatti, in un primo momento, la Zalf non lo aveva preso in considerazione. Poi ci ripensò, non chiedendogli tuttavia niente di particolare. A 40 chilometri dall’arrivo, il gruppo era ancora piuttosto numeroso; e Frigo, che si sentiva bene, decise di dare un senso alla propria partecipazione. «Attaccai convinto che qualcuno mi avrebbe seguito. Pedalo, mi giro e sono da solo. A questo punto, dissi a me stesso, tanto vale insistere. Guadagnai un minuto, poi forai e persi quasi tutto. Ma il gruppo non mi riacciuffò. All’arrivo più che contento ero sorpreso, alla fine ero dilettante da sei mesi soltanto, non credevo di poter vincere il campionato italiano. Ma per me è finita lì: ho il sangue freddo, mi emoziono raramente. Indossare il tricolore, insomma, non mi ha destabilizzato, ho cercato di non dargli troppo preso».

Frigo
Marco Frigo in azione durante i campionati italiani Under 23 (foto: Scanferla)

Perché nonostante sia parecchio talentuoso e faccia parte di una squadra che nelle ultime stagioni ha dato tanti giovani alla massima categoria (oltre ad Affini e Dainese, anche Jakobsen, Bol, Meeus, Arensman e Dekker), Frigo non crede a sufficienza in se stesso. Se gli si chiede quando s’è accorto di poter trasformare il ciclismo in una professione, lui risponde che a dire la verità non ne è ancora sicuro: ad oggi è un dilettante e dal professionismo non gli è ancora arrivata un’offerta vera e propria. Gli basterebbe una piccole dose di continuità, quella che gli rimproverano i suoi detrattori. «Lo scorso anno la pandemia, quest’anno la frattura scomposta alla clavicola: non credo sia interamente colpa mia se i miglioramenti cercati non si notano ancora. E comunque quest’anno alla Coppi e Bartali ho fatto una bella figura: era la prima gara dell’anno, nelle gambe avevo soltanto allenamenti e alla fine ho chiuso diciannovesimo, non molto distante da Cepeda dell’Androni e da Ayuso della Colpack».

Non è un caso che Frigo si sia difeso egregiamente proprio in una corsa a tappe, seppur breve. Infatti sono le prove che predilige, il Giro d’Italia quella che invece sogna di vincere. «Anche se le salite del Tour – riflette – essendo lunghe e costanti le immagino più adatte alle mie caratteristiche. Mi arrampico benone, ma sono pur sempre quasi un metro e novanta: non uno scalatore puro, insomma. Devo migliorare a cronometro, anche se da questo punto di vista il mio fisico mi aiuta. Se trovo il giusto equilibrio, potrò togliermi qualche soddisfazione. Cancellara, il mio corridore preferito, era leggermente più basso ma decisamente più robusto di me. E poi è stato un fuoriclasse, tanto forte quanto carismatico. Puntava alle corse a tappe solo di tanto in tanto, a me invece piacciono da morire: la battaglia quotidiana, il riposo e il recupero, la tappa in cui rimanere coperti e quella in cui attaccare, la continua ricerca della concentrazione. Mi emoziono soltanto a pensarci…».

Marco Frigo, atleta della SEG Racing Academy (foto: George Deswizen)

Abbandonare l’Italia e la Zalf, per un ragazzo nemmeno ventenne, non è stato facile. Frigo parla della sua scelta come di un investimento: anche economico, visto che qualche spesa a carico suo e della sua famiglia c’è, mica è tutto incluso nel pacchetto. «Perché lasciai la Zalf? Perché quell’anno ci fu una vera e propria rivoluzione, tanti cambiamenti sia tra i corridori che tra i direttori sportivi. Temevo un po’ per il mio futuro e così, quand’è arrivata l’offerta della Seg, non ci ho pensato due volte. Ho parlato anche con Affini e Dainese, entrambi mi hanno detto la stessa cosa: se vuoi scommettere sul tuo futuro e se non sei esageratamente attaccato alla tua famiglia, allora accetta».

Questo non vuol dire che non ci siano mai stati momenti difficili. Ambientarsi in una realtà olandese, per un ragazzo italiano, non è così immediato: orari diversi, schemi di pensiero diversi, abitudini diverse. «E anche la lingua: quando parlano olandese, io mi sento totalmente tagliato fuori. Non capisco una parola. Però succede di rado, si parla perlopiù in inglese. E rispetto a noi italiani vivono in maniera completamente diversa: programmano qualsiasi attività, c’è un’organizzazione maniacale. E si cena alle 18:30, non un minuto più tardi. Per l’attività sportiva è fondamentale avere degli obiettivi e una strada chiara da percorrere per provare a centrarli, ma la vita è un’altra cosa: vivere in questo modo, probabilmente, non mi piacerebbe».

Le due città tra le quali si alterna l’attività della squadra sono Amsterdam e Eindhoven, la provincia del Limburgo quella preferita per i ritiri. «Hanno l’abitudine di affittare delle case con tante stanze, un’esperienza a metà tra la vacanza e il campus universitario. Con noi giovani ci sono anche massaggiatori e meccanici, che ci seguono in tutto e per tutto».

A proposito di università, Frigo è iscritto a quella di Padova, anche se in Italia come si può intuire rientra saltuariamente. Facoltà: ingegneria meccatronica. Non è in pari, ma trattandosi di un ragazzo che punta a diventare un ciclista professionista non se la cava per niente male. «E d’inverno – puntualizza – sembro uno studente modello, avendo più tempo a disposizione posso prepararmi meglio. Faccio più fatica d’estate, quando la stagione è nel pieno dello svolgimento e le corse a tappe mi chiamano». Ma finché quelle chiamano e lui risponde, si può quasi far finta di niente…