AMARCORD/49 Lo “sparo” di Bartoli sul Muro di Grammont: così, al Fiandre del 1996, nacque un campione

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La tattica, studiata alla vigilia con Giancarlo Ferretti, era chiara: corsa al coperto e attacco sul mitologico Muro di Grammont, a una ventina di chilometri dal traguardo. Il giorno prima del suo terzo Giro delle Fiandre, Michele Bartoli era andato in ricognizione e aveva scelto il punto esatto in cui piazzare il colpo.

Che fosse un corridore da classiche del Nord, lo avevano capito tutti: pisano di nascita, il ventiseienne Bartoli aveva già esibito un’anima fiamminga, vincendo corse nobili come Freccia del Brabante, Gran Premio Cerami e Tre Giorni di La Panne. Ma nelle grandi classiche gli capitava di farsi trascinare dal temperamento e dilapidare tesori di energie, pagando nel finale. Così, in quella primavera del 1996, la missione del guru Ferretti, che lo aveva voluto nella sua già poderosa MG-Technogym, era di disciplinarne gli estri.

Il 7 aprile, domenica di Pasqua, il Giro delle Fiandre prese avvio da Sint-Niklaas con 185 corridori e un grande favorito: Johan Museeuw, che aveva già vinto la corsa di casa due volte e si presentava con la corazzata Mapei completamente al suo servizio. 

Tutto lo stile e la potenza di Michele Bartoli, lanciato verso la vittoria nel Giro delle Fiandre del 1996. Negli anni successivi avrebbe conquistato altre quattro classiche monumento: due Liegi e due Lombardia.

Ferretti gli aveva messo la squadra a disposizione: «Si lavora solo per Michele!»

«Si lavora per portare Michele ai piedi del Muro di Grammont, poi ci pensa lui», aveva ordinato Ferretti alla squadra, e tutto era andato secondo i piani. Sul pavé del “Muur” per eccellenza, penultima delle 16 asperità sparse sul tracciato, si presentò un gruppo ristretto, undici in tutto. Museeuw tra questi, così come Tchmil, Van Petegem ed Ekimov, altri clienti tutt’altro che raccomandabili.

Nel punto studiato alla vigilia, più o meno a metà del muro, Bartoli diede un’occhiata a Tchmil, che lo affiancava, poi cambiò passo. Museeuw perse subito terreno, abbandonato sul più bello da un paio di raggi della ruota posteriore. Agli altri non rimase che limitare i danni fino alla fine della salita.

Sul Bosberg, ultimo muro, Bartoli riuscì a sfuggire alla caccia, poi il suo vantaggio, fin lì minimo, cominciò a lievitare, anche perché dietro faticarono a organizzarsi. L’ultimo chilometro fu una inebriante passerella e il trionfo MG fu completato dal secondo posto di Baldato. Museeuw, terzo, si sarebbe consolato una settimana dopo, vincendo la sua prima Parigi-Roubaix. 

L’arrivo a braccia alzate di Bartoli a Meerbecke ricordò le imprese di Fiorenzo Magni, il leggendario “Leone delle Fiandre”, ultimo italiano a vincere la classica fiamminga in solitaria. Bartoli divenne, quasi fatalmente, il “Leoncino delle Fiandre”, anche se negli anni successivi, conquistando due Liegi, una Freccia Vallone e un’Amstel Gold Race, avrebbe costruito la sua epopea più luminosa lungo le rotte delle Ardenne.