Tiralongo: «Tornare alla Palazzago una scelta di vita. Mi piace lavorare con i giovani»

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Paolo Tiralongo, direttore sportivo del team Under 23 della Palazzago (foto: Palazzago)
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Da quando ha smesso di far girare i pedali nel 2017, Paolo Tiralongo ha iniziato la sua nuova avventura da direttore sportivo. Dopo il triennio alla UAE-Team Emirates, con l’inizio della nuova stagione ha deciso di dedicarsi ai giovani, ricoprendo lo stesso ruolo tra gli Under 23 nella Palazzago, squadra dilettantistica con sede nella provincia di Bergamo.

Cosa ti ha spinto ad accettare questa nuova sfida dopo i tre anni trascorsi alla UAE e cosa ti aspetti da questa nuova avventura?

«I tre anni nel WorldTour sono stati molto importanti per me, perché appena smesso di correre ho avuto l’opportunità di capire cosa significa fare il direttore sportivo di una grande squadra. Ho avuto a che fare con grandi maestri e persone che mi hanno aiutato a crescere e migliorare. Quello che mi ha spinto ad iniziare questa nuova avventura con la Palazzago è stato sicuramente il mio passato, visto che ho corso per questo team quando militavo tra gli juniores nel 1993 e 1994. Oltre a riprendere in mano la mia vecchia squadra, mi piace l’idea di far crescere quelli che saranno i professionisti del futuro».

Com’è nata questa collaborazione?

«Ezio Tironi, il presidente della squadra, in una telefonata in cui ci scambiavamo gli auguri mi ha fatto questa proposta ed ho subito accettato. È nato tutto casualmente, io avevo in programma di fare un anno sabbatico, poi invece questa chiamata ha cambiato tutto».

Quali sono le differenze che hai trovato tra il WorldTour e il mondo giovanile?

«Le differenze sono immense, in una squadra professionistica ognuno ha il suo ruolo, ci sono molte più persone che collaborano; qui invece i ruoli sono molto meno definiti, ti capita di fare tutto, dall’iscrivere la squadra ad una gara al fare il preparatore. Devi essere un tuttofare».

Metterti a completa disposizione della squadra ti fa sentire più coinvolto?

«Mi piace perché lavori con ragazzi giovani che hanno tanta voglia di imparare e di arrivare e ti danno lo stimolo per fare qualcosa in più. Racconto a loro le mie esperienze e spiego magari cosa ho fatto io quando ero corridore per passare di categoria. È bello perché li hai tutti qui e puoi viverli quotidianamente e questo crea un rapporto molto più forte e speciale».

Si potrebbe dire che prima eri un direttore sportivo e adesso, invece, una sorta di insegnante?

«Esatto, insegnante è la parola giusta, i ragazzi ti ascoltano e ti fanno tante domande sulla tua esperienza, ti chiedono consiglio soprattutto nelle difficoltà, quando non è facile fare il corridore».

Sai già quanto rimarrai alla Palazzago oppure vivi giorno per giorno questa nuova esperienza?

«Ho in testa dei progetti, ma voglio partire con calma. Sai, io sono un gregario, non mi piace partire dall’alto. Non sono legato con nessuno, non ho obiettivi personali, la cosa che mi interessa di più è aiutare la mia squadra».

Alla Palazzago c’è anche un altro ex professionista, Salvatore Commesso, con il quale hai condiviso molti anni in gruppo. Che rapporto hai con lui?

«Con Totò siamo stati compagni di squadra da dilettanti, abbiamo corso insieme nei professionisti e ci allenavamo quasi tutti i giorni insieme. Lui abita qui vicino, a Gorlago. A lui mi legano un’amicizia e un rispetto davvero profondi. Quello che io e lui vogliamo fare è promuovere il ciclismo, perché per colpa di questa pandemia ttanti ragazzi stanno lasciando questo sport ed è davvero un peccato».

Recentemente, nel corso di un’intervista, Gianmarco Garofoli del Development Team DSM ci raccontava che lui ha preferito trasferirsi all’estero per affrontare questi anni da dilettante perché vede una maggior possibilità di emergere e di crescere. Tu cosa ne pensi?

«Gianmarco non lo conosco, quindi non giudico le scelte altrui. Come corridore ha sicuramente la possibilità di fare delle gare con i professionisti, ma questo non è sempre un bene: il rischio dal mio punto di vista è che un ragazzo di 18 anni non sia pronto per determinati sforzi e rischi di bruciarsi. Per me la crescita dell’atleta va completata e la categoria degli Under 23 ti permette di farlo con le dovute tempistiche».

– Stiamo assistendo alla maturazione di molti corridori giovani, talvolta persino troppo. Pensi che si stia abbassando l‘età in cui i corridori maturano?

«Assolutamente no, è vero che ci sono dei corridori che maturano prima grazie alle loro capacità fisiche più sviluppate rispetto ai coetanei, ma il rischio è di bruciare il corridore, di farlo passare professionista troppo presto. Fanno un anno o due e poi tornano indietro. Per il ragazzo è brutto e rischia di demotivarsi».

Forse un ragazzo è spinto ad andare all’estero perché pensa di avere più possibilità ed è attratto dalle proposte di grandi squadre che al momento l’Italia non ha?

«L’Italia meriterebbe una squadra di livello internazionale, sono sicuro che in futuro arriverà una formazione di questo tipo, secondo me in un paio d’anni questa cosa potrebbe diventare realtà. Manca la persona che veda il ciclismo come una fonte di investimento e che abbia passione nel costruire un progetto importante».

Tu hai corso con tanti campioni e ti sei fatto apprezzare da ognuno di loro, questa tua capacità di capire le persone ti aiuta per svolgere il tuo ruolo di direttore sportivo?

«Certo, un bravo direttore sportivo deve capire le esigenze di ogni ragazzo perché non tutti sono uguali, devi saperli spronare e motivarli. La bravura sta nel farlo quando l’atleta è in difficoltà, perché è nella difficoltà che il direttore sportivo fa la differenza. Io faccio in modo che ogni ragazzo dia sempre il massimo».

A quali corse punterete maggiormente quest’anno?

«Abbiamo in programma di fare il Giro d’Italia Under 23 ma non abbiamo particolari obiettivi, il mio interesse è quello di far esprimere al meglio i miei ragazzi. Più che il risultato a me interessa far crescere i corridori del futuro, preparandoli al mondo del professionismo. A me piace far correre i ragazzi all’attacco, sempre con disciplina e senso tattico, solo così si divertono e possono imparare».