Quaranta sulle orme del padre: «Ho vinto al debutto tra i dilettanti, non chiamatemi figlio d’arte»

Quaranta
Samuel Quaranta vince in volata il Trofeo Arcadia Calcestruzzi a Cantagrillo, provincia di Pistoia (foto: Rodella)
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Fino a qualche secondo prima di conquistare la sua prima vittoria tra gli Under 23 al debutto nella categoria, Samuel Quaranta era convinto di doversi accontentare della piazza d’onore. A circa 200 metri dall’arrivo del Trofeo Arcadia Calcestruzzi di Cantagrillo, il corridore della Colpack era a malapena tra i primi dieci, pronto ad accontentarsi anche di un piazzamento tra i primi cinque.

E poi, Samuel, cos’è successo?

«E’ successo che ho trovato un varco sulla sinistra, mi ci sono infilato e ho dato fondo a tutte le mie energie. Vignato era in testa, ma improvvisamente si è piantato sulla leggera pendenza finale. In un attimo sono passato dal secondo al primo posto, ho vinto più nettamente di quanto pensassi all’inizio».

Eravate soltanto in due, tu e Brioni, e in ammiraglia c’era tuo padre.

«Una bellissima giornata di ciclismo, quando mio padre mi ha visto passare così indietro non pensava che potessi emergere più di tanto. E invece, alla fine, ho vinto con caparbietà e tempismo all’esordio tra i dilettanti. Brioni, tra l’altro, è caduto dopo 20 chilometri e così sono rimasto da solo per quasi tutta la gara».

Cosa significa essere figlio d’arte?

«Prima di tutto io sono figlio d’un padre col quale ho un rapporto bellissimo, una persona che ammiro, a cui chiedo consigli e con cui lavoro a stretto contatto. Fare Quaranta di cognome ed entrare a far parte del mondo del ciclismo a me non ha mai suscitato particolari emozioni: la mia famiglia non mi ha assolutamente costretto, nemmeno avvicinato o tentato».

E allora come hai cominciato?

«Andando a tifare mio padre sulle strade lombarde, quando correva da queste parti, e nelle manifestazioni in pista che hanno assorbito gli ultimi anni della sua carriera, gli unici che io ricordi. Se ci penso mi vengono in mente i volti di Petacchi e Cipollini, che di tanto in tanto partecipavano a questi eventi. Con tutti questi sprinter, alla fine sono diventato un velocista anch’io».

Come lo era tuo padre o in maniera diversa?

«Lui, nei suoi anni migliori, aveva delle punte di velocità notevoli, e infatti ha vinto sei tappe in tre edizioni del Giro battendo corridori come Cipollini, Blijlevens e Svorada. Io, invece, pur reputandomi abbastanza veloce, non sempre posso pensare di battere gli sprinter più potenti. A differenza di mio padre reggo abbastanza bene in salita. No, passista-scalatore è troppo. Diciamo un velocista con le caratteristiche di Nizzolo e Trentin».

Cosa invidi al corridore che tuo padre è stato?

«La scaltrezza e la sicurezza che dimostrava nei due o tre chilometri che precedevano la volata di gruppo. Sapeva guidare il mezzo, infilarsi in ogni pertugio, non tirava mai il freno: non aveva paura, insomma. Io, al contrario, ogni tanto ce l’ho e mi capita di tirarmi fuori dalla contesa. So che non dovrei, è un difetto sul quale sto lavorando. Anche perché il gruppo dei professionisti non è certo più gentile e meno caotico di quello dei dilettanti. Specialmente in questo momento nel quale non c’è un vero e proprio sprinter di riferimento».

Samuel Quaranta abbraccia il padre, Ivan Quaranta, diesse del Team Colpack Ballan

Parlando dei professionisti, chi è il tuo riferimento?

«Senza dubbio Elia Viviani. Quando ha vinto l’oro olimpico di Rio, io giocavo ancora a calcio e la bicicletta la toccavo un paio di volte a settimana. Assistendo al suo trionfo mi sono appassionato definitivamente al ciclismo e qualcosa dentro di me è cambiato. E poi, nel mio piccolo, sto affrontando un percorso simile al suo: sono un corridore veloce a cui piace molto anche la pista. Se l’ho conosciuto? Sì, una persona squisita. Vedendolo alla televisione può sembrare superbo, invece è soltanto sereno e riservato. Mi ha trattato da amico e collega, non da giovane rompiscatole».

In che modo ti sei avvicinato alla pista?

«Prima di tutto seguendo mio padre, come dicevo prima. E poi, se devo essere sincero, fino a qualche anno fa le corse su strada mi annoiavano e quindi guardavo soltanto gli arrivi, talvolta nemmeno quelli. La pista, al contrario, mi emozionava e ho sempre trovato il modo di seguirla. Quando, tra gli allievi, ho conquistato il campionato italiano nella velocità a squadre, ho capito che il ciclismo per me non era più un passatempo. Sempre un po’ un gioco, il mio piglio è questo, ma un gioco un po’ più serio di prima».

Quali corse sogni di vincere?

«Tra i dilettanti il Circuito del Porto e la Popolarissima, le classiche dei velocisti. Dunque tra i professionisti, per assonanza, la Sanremo e la Gand. Per quanto riguarda la pista, reputo la corsa a punti la prova più bella, anche se mi piacciono molto eliminazione e madison, quelle in cui eccello».

Quali passioni coltivi nel tempo libero?

«Seguo lo sport in generale, anche Formula 1 e Moto Gp, e sono un grande tifoso dell’Inter. Il giocatore che preferisco è Lukaku, il più forte in campo e il più carismatico in spogliatoio, oltretutto mi sembra pure una persona buona. Come mio padre, anch’io sono appassionato di caccia e pesca. Da un paio d’anni ho anche una fidanzata, si chiama Camilla, nell’ultimo periodo ci stiamo vedendo poco e non nascondo il dispiacere. E infine non vorrei scordarmi della scuola, visto che sono al quinto anno di ragioneria».

Una volta finita potrai concentrarti ancora di più sul ciclismo, no?

«Assolutamente, fisicamente sono ancora acerbo e come dicevo prima fino a qualche anno fa mi allenavo poco e in maniera blanda, infatti portavo a termine poche corse. Poi ho cominciato a vincere e da allora ogni volta che prendo parte ad una gara penso di poterla vincere: anche se non si addice alle mie caratteristiche, anche se ci sono corridori più forti di me. Se uno degli avversari fosse Sagan, ad esempio, pur essendo consapevole della sua superiorità io non mi abbatterei: penserei ad un modo per anticiparlo o fregarlo. Partire battuti significa aver già perso e io, se proprio devo perdere, preferisco farlo sulla linea d’arrivo. Non prima».

In conclusione, Samuel, il tuo cognome, Quaranta, non ti pesa proprio per niente?

«Quaranta me lo hanno fatto pesare gli altri, questo sì. Chi sosteneva, ad esempio, che venissi convocato nelle rappresentative regionali perché mio padre era uno dei tecnici. E sicuramente, fuori dalla Colpack, ci sarà qualcuno che continua a sostenere questa tesi. Il mondo del ciclismo sa essere anche cattivo e velenoso, cerco di farmene una ragione. Con le vittorie, tuttavia, ho dimostrato il mio valore. Ho un motivo in più per vincere, insomma».