Boscolo (Cycling Team Friuli): «Da De Marchi ad Aleotti e Milan, lanciamo talenti dal 2005»

Renzo Boscolo in compagnia di Andrea Fusaz e di Nicola Venchiarutti a Falcade nell'ottava tappa del Giro Under 23 del 2019, in una foto d'archivio
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Sedici anni: tanti ne sono (già) passati da quando il progetto del Cycling Team Friuli si è messo in moto. Merito, in primo luogo, dell’illuminazione avuta da Roberto Bressan, che della formazione friulana è il team manager. «Senza il suo carisma – conferma Renzo Boscolo, il direttore sportivo di riferimento – non saremmo mai arrivati ad oggi. Alessandro De Marchi è stato il primo grande corridore della nostra piccola storia. A lui dobbiamo molto, la carriera generosa e integra che sta portando avanti tra i professionisti concorre ad aumentare anche la credibilità del nostro ambiente».

Cos’è che rende unica la vostra realtà, dal tuo punto di vista?

Fin dall’inizio abbiamo scelto di concentrarci prima sulle strutture e sulle nostre conoscenze personali e poi, ma soltanto in un secondo momento, sugli atleti. Quindi è nato il CTF Lab, che oggi monitora perlopiù i nostri corridori seguendo, tuttavia, anche atleti che non corrono per noi. E i nostri tre professori, Baronti Fusaz e Mattiussi, sono laureati e conoscono il fisico di un ciclista come pochi altri. Avere il fuoriclasse che vince e nessun piano per il futuro non ci è mai interessato.

Quanto avete dovuto aspettare per avere i primi risultati?

Qualche anno, direi, ma ce l’aspettavamo. A lungo termine, però, abbiamo raccolto molto: prima De Marchi, poi Fabbro e negli ultimi anni Venchiarutti, Pessot, i fratelli Bais, Aleotti, Milan.

Milan era già pronto per il salto nella massima categoria?

Il talento è indiscutibile, ma io non ho mai nascosto il mio pensiero a riguardo: sarei stato più contento se fosse rimasto con noi anche quest’anno. Se rientrerà tra i pistard che andranno alle Olimpiadi? Penso di sì, ancora ovviamente non si sa niente, ma considerando il potenziale di cui dispone mi stupirei se non venisse scelto. E sullo sfondo, ma soltanto per il momento, le classiche del Nord, sulle quali punterà in futuro. Il suo chiodo fisso è la Parigi-Roubaix, ne parla da anni. E comunque la formazione nella quale milita è ottima: equilibrata e che tiene nella giusta considerazione i giovani.

Aleotti, probabilmente, è più formato rispetto a Milan.

Senza dubbio, ha anche un anno e mezzo in più, che a quell’età significa molto. Entrambi hanno una struttura fisica estremamente valida, Milan per le classiche e Aleotti per le corse a tappe. Questo ragazzo non finisce mai di stupirmi, già lo faceva tra i dilettanti: non pensavo, ad esempio, che potesse disputare una buona Strade Bianche e invece non ha sfigurato in una giornata durissima. Ed è pure abbastanza veloce nelle volate a ranghi ristretti.

Ottimo anche l’inizio di stagione di Fabbro, finalmente competitivo in salita dopo prestazioni altalenanti.

Assolutamente sì, ero convinto che prima o poi avrebbe trovato la giusta dimensione. I primi due anni alla Katusha, comunque fondamentali, hanno probabilmente rallentato il suo processo di crescita. E’ uno scalatore eccellente e resistente, che sa stringere i denti ed esaltarsi nelle difficoltà: per me ha un futuro da attaccante, a costo di disinteressarsi della classifica generale. Ma voglio spendere due parole anche per i fratelli Bais, Davide e Mattia, meno dotati atleticamente di Fabbro, Milan e Aleotti ma di una determinazione e voglia di migliorare uniche.

Quest’anno, invece, quali sono i corridori sui quali punterete maggiormente?

Pietrobon e Petrelli, i due ragazzi che secondo noi devono puntare al passaggio tra i professionisti al termine di questa stagione poiché già pronti. E tra i più giovani non mi dimentico né di Garzara né di De Cassan, molto interessante, né tantomeno di Fran Miholjevic, figlio di Vladimir, l’ex professionista: dal mio punto di vista, uno dei migliori prospetti europei. Con ognuno dei nostri corridori abbiamo un progetto di due o quattro anni, in base alla loro età, pregi, difetti ed esigenze. Se c’è del talento, difficilmente ci sfugge. E quest’anno abbiamo perfino esagerato, avendo 14 corridori e non più 12 come ci eravamo prefissati. Meno corridori abbiamo, pensiamo, e meglio riusciamo a lavorare con ognuno di loro.

Allora la vostra Continental, a differenza di quello che sostengono alcuni, sa bene quello che deve fare.

Guarda, io le critiche di alcuni miei colleghi le capisco e sono dalla loro parte: avere una Continental non significa automaticamente essere più bravi e gli unici depositari del talento. Ce ne sono molte, purtroppo, che assomigliano a dei bellissimi contenitori vuoti. Però non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, c’è anche chi lavora nella maniera giusta come crediamo di fare noi. Ci ispiriamo alle realtà del Nord Europa e, più in generale, a quelle che funzionano meglio: la Uno X, la SEG, il progetto di Basso e Contador. E io, se fossi nella Federazione, metterei vincoli ancora più stringenti.

Quali?

Allestire una filiera, ad esempio, come abbiamo fatto noi e la Franco Ballerini, con una formazione di allievi ed una di juniores che seguiamo da vicino e con costanza. Dei risultati c’interessa fino ad un certo punto, l’importante è che i più giovani comincino a capire cosa significa fare ciclismo ad alti livelli. E ancora: quante corse vengono fatte all’estero? E’ inutile tirar su una Continental e poi partecipare unicamente al calendario nazionale. Quanti talenti di quella determinata squadra sono approdati al professionismo? Cosa hanno costruito certe realtà negli ultimi cinque anni? Soltanto così, secondo me, è possibile fare chiarezza e pulizia.

Più in generale, sono problemi storici del ciclismo italiano.

Certo, non c’è ombra di dubbio. Per fare un altro esempio, io ho 53 anni e alle corse incrocio ancora gli stessi direttori sportivi che c’erano quando correvo io tra i dilettanti più di 30 anni fa. Quando capiremo che dobbiamo cambiare passo, pur dando alla tradizione il valore che merita? Quando vedremo giovani direttori sportivi appassionati e competenti che salgono in ammiraglia? Io ho iniziato a farlo con Fusaz, Baronti e Mattiussi perché se lo meritano. Le istituzioni, però, devono aiutarci di più.

In che modo, Renzo?

Io ricevo tanti inviti dall’estero, ma pochissimi dall’Italia: come mai? E perché, se gli appuntamenti professionistici ai quali possiamo partecipare ci invitano, dobbiamo essere noi a provvedere sempre e comunque a tutte le spese di vitto e alloggio? Dobbiamo tutelare il nostro patrimonio ciclistico. Non abbiamo una squadra nel WorldTour, quindi le istituzioni chi dovrebbero difendere se non noi e le Professional? A proposito, massima solidarietà per Gianni Savio, che non meritava d’essere escluso dal prossimo Giro. Se questi sono i presupposti, temo che il ciclismo italiano sia ancora lontano da una qualsiasi rinascita