Cassani: «I giovani hanno entusiasmo, ma servono venti milioni per una squadra WorldTour italiana»

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Davide Cassani, ex commissario tecnico della nazionale italiana di ciclismo
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I giapponesi lo chiamano Igikai, concetto con il quale indicano il motivo per cui alla mattina ci alziamo e decidiamo di vivere. Davide Cassani e l’Italia del ciclismo guardano a Tokyo con ambizioni, progetti, speranze. In un periodo difficile come questo, dove l’incertezza è un fantasma da esorcizzare, è proprio trovando un grande obiettivo da raggiungere che i giovani si allenano, si mettono alla prova e riempiono il borsone con sogni colorati d’azzurro. Soprattutto quelli che per la prima volta respirano l’atmosfera di un training camp al velodromo di Montichiari: giorni di test per Under 23 e Juniores, per un movimento che grazie alla spinta propulsiva e al lavoro del cittì Marco Villa è diventato tra i primi al mondo. Mondo che in inglese si dice World. Il tasto negativo, insieme ai tanti aspetti positivi, che quibicisport ha affrontato con Cassani, è la mancanza di una squadra di vertice di matrice italiana nel WorldTour, che sia il transatlantico e il volano per l’entusiasmo dei talenti di casa nostra: «Abbiamo ottimi corridori e abbiamo i tecnici migliori. Servono gli sponsor per realizzare una squadra tutta nostra».

Giovani interessanti, su quali nomi puntiamo in futuro?

«Jonathan Milan ha dimostrato di essere molto forte. Siamo qui a Montichiari dove in quattro giorni facciamo centoquaranta test tra Under 23 e Juniores per capire un po’ come è la situazione generale in Italia».

Cosa emerge da questi test? C’è entusiasmo tra i ragazzi?

«I ragazzi sono entusiasti, sono desiderosi di correre. Hanno voglia di correre e di uscire. L’anno scorso comunque il ciclismo a livello giovanile è riuscito a gareggiare, speriamo di riprendere a respirare l’atmosfera delle competizioni: i mondiali juniores sarebbero ad aprile quindi Marco Villa sta cercando di iniziare questo lavoro in prospettiva mondiale junior».

Per alcuni di loro si tratta del primo training camp con la Nazionale. Come li ha visti? Sensazioni?

«C’è un bel movimento, un vivaio che grazie al velodromo di Montichiari può andare avanti. Sia al maschile, sia al femminile ragazze e ragazzi ci sono».

Strada e pista: dov’è l’Italia in prospettiva olimpica?

«Con la pista andiamo a Tokyo per fare bene, per cercare di conquistare una medaglia. C’è un bel gruppo di ragazzi e ragazze che è cresciuto tantissimo. A Rio 2016 siamo entrati nel quartetto per la rinuncia della Russia, adesso ci troviamo addirittura a lottare per una medaglia. Grazie a Marco Villa e ai ragazzi abbiamo fatto passi da gigante. Fronte strada probabilmente Ganna avrà il doppio impegno con la crono e sulla pista, quindi anche nella cronometro abbiamo possibilità. Il percorso è totalmente diverso rispetto a quello di Imola, dove Filippo ha vinto, però sono convinto che potrà lottare per una medaglia sia su pista, che su strada».

Pogacar, Geoghegan Hart, vincitori molto giovani al Tour e al Giro: potranno ripetersi?

«Pogacar è un fenomeno. Geoghegan Hart dopo qualche anno è riuscito a vincere un Giro d’Italia. Tanti giovani adesso vanno forte da subito perché cominciano ad allenarsi e i carichi di lavoro sono aumentati. Probabilmente non avremo ragazzi che correranno fino ai quarant’anni tra i prof, ma inizieranno e finiranno prima. Noi con un programma di corse che è cresciuto, con il Giro d’Italia Under 23 e le squadre Continental devo dire che a livello dilettantistico siamo cresciuti e probabilmente tra qualche anno questi ragazzi li vedremo tra i prof».

Manca però la squadra italiana nel WorldTour..

«Il problema, soprattutto con la situazione attuale, è trovare i milioni per allestire la squadra. È molto complicato. Sarebbe bello e importante avere una squadra WorldTour, nonostante questo il maggior numero di corridori nelle squadre WorldTour è italiano: i corridori italiani quindi sono ambiti e siamo sempre tra le nazioni di riferimento».

Quale potrebbe essere il punto di incontro per riuscire a realizzarla?

«Bisognerebbe trovare venti milioni per allestire una squadra WorldTour: abbiamo i corridori e abbiamo i tecnici. La metà delle squadre ha tecnici italiani, perciò servono gli sponsor e speriamo tra qualche anno di avere una squadra WorldTour italiana».

Cassani, cosa pensa del ritiro di Dumoulin?

«Penso che sia assolutamente normale. Se uno non ha più il desiderio di correre e correre non dà più desiderio e felicità come succede in altri lavori, uno pensa di cambiarlo. Il ciclismo è uno sport e un lavoro meraviglioso se hai passione, ma se viene a mancare qualcosa diventa complicato. Bernard Hinault ha smesso a 32 anni, Eddy Merckx a 32 anni e mezzo. Quindi onore a Tom Dumoulin perché ha dimostrato rispetto, consapevolezza e la morale è che la felicità non ha prezzo».

I valori fondamentali per un atleta nello sport di oggi?

«Apprezzare e amare quello che fai: correre in bicicletta, giocare a pallone, andare a scuola. Avere un obiettivo, avere uno scopo. Cercare di dedicare tutta la propria passione a quello che uno sta facendo. Per me andare in bicicletta è la cosa più bella della mia vita e faccio ancora diecimila chilometri all’anno. Avviciniamo i bambini allo sport perché secondo me è una bella scuola di vita e bisogna farlo nel modo giusto e nel modo corretto. Per i bambini il ciclismo è un gioco, poi il gioco diventa sport e poi potrebbe diventare lavoro. Ci sono divertimento, passione, amore e gioia e anche difficoltà, perché correre in bicicletta non è facile. Valverde a quarant’anni si diverte ancora, bisogna mantenere questa cosa».

C’è troppa pressione per i risultati?

«È la vita che è così. È naturale che nello sport si cerchino i risultati, come nella scuola e nel lavoro. Naturalmente bisogna avere quella delicatezza, quell’intelligenza e quell’approccio giusto nei confronti dei giovani. Ma quando diventa un lavoro chi sta sopra pretende il massimo».