I gregari: gli eroi da celebrare di un ciclismo che lotta e resta romantico

Rohan Dennis
Rohan Dennis, l'ultimo uomo di Geoghegan Hart al Giro d'Italia
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Ogni montagna nel ciclismo ha due dimensioni: quella dei capitani e quella dei gregari. La prima sbrilluccica davanti ai microfoni, alle telecamere e sui tablet di tutto il mondo con pagine, link, hashtag, post sui social e fiumi di inchiostro. La seconda viene notata, in particolare, dagli osservatori più acuti che in un film la palma di miglior attore la assegnano spesso ai “Non Protagonisti“. Se esiste un ruolo metodico che richiede costanza, abnegazione, serietà, umiltà è il gregario.

Gianni Brera, maestro di giornalismo, lo ricordava spesso: tutti coloro che scrivono nei loro racconti parlano ed esaltano eroi invincibili capaci di mirabolanti ed eternabili imprese; è invece una più nobile ambizione narrare le azioni degli umili. L’universo dei gregari, i veri guerrieri delle due ruote che fino all’ultimo metro del loro lavoro danno il massimo per la squadra.

Una vita da gregari: Dennis, Kuss, Masnada, Conci. Gli umili artisti del gruppo

I gregari recitano il vangelo a pedali con devozione quasi perfetta e Bruno Roghi, direttore de La Gazzetta dello Sport, accende per la prima volta i riflettori su di loro nel 1936. Quelli che danno senza pretese, amati dal pubblico perché compiono gesti come recarsi in coda al gruppo e tornare con la maglietta carica di borracce: in Spagna li chiamano appunto “acquadores“, ovvero portatori d’acqua, l’oro nelle tappe più ardue e difficili.

Robert Gesink, Gianluca Brambilla, Michael Woods, Tony Martin, Chad Haga. Ma soprattutto in questa stagione ricordiamo Sepp Kuss, Fausto Masnada, Nicola Conci, Marco Marcato e Rohan Dennis. Autori di ribaltoni vecchia maniera, alla faccia di watt e tabelle. Gli ultimi eroi dei trionfi di Tadej Pogačar e Tao Geoghegan Hart: a Parigi e Milano i due giovani campioni avrebbero dovuto innalzare un monumento ai fedeli scudieri. Lo sloveno e il britannico sono stati riconoscenti, ringraziandoli nel dopo-corsa. Compagni che si sono messi al servizio del successo della propria squadra, prima che del loro.

Gregari, caratteristi di mestiere. In pratica indispensabili: perché, se non esistesse il prezioso lavoro di spalla, in questo caso non comica, il ciclismo di oggi non potrebbe esistere. O comunque sarebbe totalmente diverso e distante dalla bellissima metafora della vita che rappresenta a ogni chilometro di salita percorso: talento, impegno e sacrificio vengono svuotati di personalismi per un obiettivo comune e collettivo. L’essenza dello sforzo atletico non è finalizzata ad acquisire una leadership, ma regala autorevolezza e riconoscenza.

Masnada che affianca Almeida verso lo Stelvio; Dennis il fenomenale “water carry” o “domestic” – scegliete voi la versione che più vi piace – con una determinazione adamantina porta Geoghegan Hart in volo verso la Rosa. E Kuss, gregario-amico, formidabile e instancabile levriero per Primož Roglič. Un’avventura spesso dietro le quinte, densa di azione. Superare l’ego, sacrificarsi e riscoprire la gioia di vincere insieme. Perché correre in bicicletta non è semplicemente uno sport. “Splendidi perdenti” che nonostante le cadute, le scivolate, si rialzano sempre e continuano a dare tutto. Una vita da gregario, finché ne hanno stanno lì.