Movistar, scuola Valverde: così il ciclismo della fantasia finisce

Valverde alla Vuelta
Alejandro Valverde (foto: A.S.O./ ©PHOTOGOMEZSPORT2020)
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Corse vinte dalla Movistar nel 2020: due. Da Marc Soler a Marc Soler: il 1° Febbraio alla Pollença-Andratx e il 21 ottobre a Lekunberri, nella quinta tappa della Vuelta. Questo è tutto il bottino raccolto da quello che era il Super Team di Spagna, del quale restano soltanto le briciole. Fondato nel 1980, una volta si chiamava Reynolds, poi Reynolds-Galli, tredici anni di Banesto dal 1990 al 2003, Illes Balears, Caisse d’Epargne e dal 2011 sodalizio ininterrotto con la Movistar. Ma oltre al nome, legato agli sponsor, sono cambiate anche le classifiche, prive di acuti memorabili (rare eccezioni Quintana-Giro 2014 e Vuelta 2016, Carapaz-Giro 2019) nei Grandi Giri. Non tutti gli anni sono buoni, e ci mancherebbe, ma la maniera di correre dell’armata di Eusebio Unzué e José Luis Arrieta sembra un mistero eleusino. Proviamo ad approfondirlo.

Movistar, il dibattito sulla tattica

Il ciclismo, dall’alba dei tempi si nutre di passione, generosità, entusiasmo, coraggio e idee. Capire la tattica della Movistar è come tentare di risolvere un’equazione su un ottovolante. Perché spesso la tattica non c’è. Partiamo da un nodo cruciale: mancano Landa e Quintana, due che sicuramente animavano le fasi-clou attraverso lo scintillio delle maglie albicelesti ad aprire le danze con azioni decise, spaccacorsa a differenza delle fughe poco edificanti di Carretero al Giro, per fornire un esempio preciso. L’immobilismo totale della squadra in testa al gruppo è l’esatto opposto di quello che ci si aspetterebbe da atleti che vogliono recitare un ruolo da protagonisti. «La caduta è stata causata dalla Movistar, corrono in modo stupido», parole di Daniel Martin al termine della quinta tappa della Vuelta. Segnale che i colleghi sono scettici sulla filosofia e sull’interpretazione delle gare di Alejandro Valverde e truppa. Un annus horribilis, pieno di pensieri e svuotato di successi. Bluff al comando del transatlantico World Tour per mettersi di traverso alla squadra più forte, la Ineos Grenadiers, e alla fine della fiera si squaglia all’improvviso.

Il dibattito rimane sempre aperto: è il caso di selezionare tre capitani come alla Vuelta invece di uno solo sul quale riporre piani e speranze? Valverde limita l’estemporaneità e le libertà dei compagni più giovani, con il suo tipico spirito attendista, scevro di lampi spettacolari? Inutile mettersi in testa a tutti se poi di tre potenziali prime punte, nessuno gioca d’attacco. Mas 5°, fuori dal podio. L’eterno Embatido 10°. Soler adiòs. Aspettative ridimensionate rispetto all’epoca di Miguel Indurain, che José Miguel Echevarri descriveva così: «Miguel va a energia solare». Ora questa squadra è diventata una delle meno creative, scontata. Chiude rivali e appassionati in trappola, come Alcatraz. Un effetto boomerang. Un comportamento distante dal british style. Un team che avrebbe bisogno di una cura ricostituente, visti i risultati scarni. Due vittorie non smacchiano una stagione incolore. Quei colori padroni della fantasia che ci fa battere il cuore e sognare. Chilometro dopo chilometro di una magia infinita.