Coraggio Evenepoel, dagli incidenti i campioni escono più forti: come Pantani, Ocaña, Merckx…

Laurent Jalabert dopo la spaventosa caduta nella prima tappa del Tour de France 1994. Al suo fianco, l'italiano Fontanelli.
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Prima ci sono ferite e dolore, talvolta anche la paura dell’irreparabile. Poi la reazione, la risalita e una rabbia inedita. E alla fine, l’esplosione a livelli mai raggiunti prima. Remco Evenepoel, che volando giù da quel muretto nel corso del Lombardia ha interrotto in modo traumatico una crescita travolgente, può consolarsi e trarre forza dalle storie di grandi campioni, che di cadute rovinose e ossa rotte hanno fatto un’anticamera per la gloria.

Quasi inevitabile pensare a Marco Pantani e a quello che gli capitò fra la primavera e l’autunno del 1995. Il 1° maggio, durante un allenamento, si scontrò con un’automobile a un incrocio stradale di Santarcangelo di Romagna: picchiò la testa, ma se la cavò con quattro punti di sutura e qualche escoriazione.

Il peggio doveva arrivare: il 18 ottobre, durante la Milano-Torino, Pantani stava scendendo da Pino Torinese in picchiata con due suoi compagni di squadra, Secchiari e Dall’Olio. Il primo, che conduceva, ebbe un rallentamento, cosicché Pantani passò in testa. Un paio di curve dopo, si trovò davanti una Nissan Patrol che contro tutte le regole procedeva in senso inverso. L’impatto fu terribile, il (non ancora) Pirata, che non portava il casco, non ancora obbligatorio, fu sbattuto in aria e ricadde a terra dopo un volo pauroso. Travolti anche i suoi due compagni.

«Pantani si guardò la gamba e si voltò subito…»

«Ho ancora l’immagine di Marco che si vede la gamba, si mette le mani in testa e si gira in giù per non guardare», ricorda Davide Dall’Olio nel libro di Marco Pastonesi, “Pantani era un dio”. «Contusioni multiple al volto, alla spalla sinistra, al ginocchio e al gomito destro, vasto ematoma alla coscia sinistra, frattura esposta di tibia e perone», questo il quadro del dottor Cartesegna, che operò alla gamba Pantani, dando solo labili speranze per il futuro: «Queste sono fratture difficili, a volte non si guarisce completamente. Ma io sono ottimista».

Come andò lo sappiamo: dopo cinque mesi Marco rimontò in bici, e divenne davvero un campione, sublimando se stesso nel 1998, con la vittoria in successione di Giro e Tour.

La storia di Jalabert: prima velocista, poi campione totale

In quegli stessi anni, da un brutto incidente uscì più forte anche Laurent Jalabert, straordinario talento francese. Era un gran velocista e il 3 luglio 1994, sul traguardo di Armentières, prima tappa del Tour de France, si buttò nel volatone finale. Ai bordi del vialone erano assurdamente dislocati alcuni agenti della polizia. Uno si sporse più degli altri per fare una foto e fu travolto dal gruppo.

Fu Jalabert ad uscirne peggio: fece un salto mortale e sbatté violentemente a terra, le immagini dei tg lo ripresero mentre veniva trasportato all’ospedale con una flebo al braccio e il volto coperto di sangue. Quando si riprese scoprì che oltre alle volate sapeva fare tutto. Nel 1995 fu mostruoso: cominciò a vincere le brevi corse a tappe di inizio stagione, poi mise in bacheca Milano-Sanremo e Freccia Vallone, arrivò quarto al Tour e completò il banchetto trionfando nella Vuelta.

Bugno e il Giro: il dolore nel 1988, il dominio nel 1990

E Bugno? Anche lui una volta si fece molto male, al Giro d’Italia edizione 1988. Gli si infilò tra i raggi un pezzo di ferro, che lo fece catapultare in avanti. Ne uscì con una clavicola fratturata e sei punti all’arcata sopracciliare. Una situazione seria che si dipinse di farsa, perché chi trasportò il corridore all’ospedale di San Giovanni Rotondo si dimenticò di comunicarlo alla squadra, la Chateau d’Ax. E così lo cercarono dappertutto. Vale appena la pena di ricordare che Bugno tornò sulle strade rosa e dominò il Giro del 1990, vestendo la maglia rosa dal primo all’ultimo giorno.

Ocaña rischiò la vita nel Tour 1971: due anni dopo lo vinse

Tour de France 1971: Luis Ocaña soccorso dopo l’incidente nella discesa del Col de Mente: perse un Tour che aveva ormai in tasca, ma si rifece due anni più tardi.

Leggenda e tregenda si fondono nella storia dello “spagnolo triste” Luis Ocaña, che al Tour del 1971 realizzò un disegno che covava da tempo, quasi un’ossessione: attaccare e mettere sulla graticola un Eddy Merckx al colmo della gloria. Nella tappa che arrivava a Orcières Merlette, piccola stazione sciistica provenzale, sfilò al Cannibale la maglia gialla, mettendolo a 8’42”. Naturalmente Merckx lo aveva subito riattaccato, ottenendo però risultati modesti.

Nella cavalcata pirenaica Revel-Luchon, il 12 luglio 1971, si scatenò un uragano. Merckx attaccava furibondo, Ocaña non perdeva un metro e con i suoi sette minuti abbondanti di vantaggio in classifica aveva il Tour in tasca. Scendendo in mezzo al temporale dal Col de Mente, il belga perse per un attimo il controllo della bici, ma si riprese.

Non così Ocaña, che finì a terra. Si rialzò subito, ma in quel momento venivano giù gli inseguitori. Zoetemelk lo agganciò sbattendolo in aria, altri lo travolsero quando era a terra. Ocaña perse i sensi, si temé il peggio. Restò a bordo strada esanime per un po’. Lo coprirono pietosamente, poi lo portarono all’ospedale. In carovana arrivarono notizia incontrollate, ci fu chi parlò di coma e chi lo diede per morto.

Merckx, sconvolto all’arrivo, non voleva ripartire il giorno dopo. Poi si capì che il quadro clinico era più rassicurante, Eddy il giorno dopo prese il via ma si rifiutò di indossare la maglia gialla. Quanto a Ocaña, il trionfo al Tour era solo rimandato. Trionfò nel 1973, anche se gli mancò la agognatissima rivincita con Merckx, che quell’anno era assente.

Merckx: la caduta al Fiandre 1966, poi l’inizio dell’impero

L’immagine sofferente di Eddy Merckx, caduto sul pavé del Fiandre nel 1966.

Già, Merckx. Vedendo Evenepoel in questo primo scorcio di stagione, era fatale il paragone con il grande connazionale, l’uomo più vincente della storia del ciclismo. Pure lui dominava già da giovanissimo, pure lui ebbe i suoi incidenti, anche se non gravissimi. Uno proprio in una grande classica, il Giro delle Fiandre del 1966: cadde paurosamente sul pavé viscido e restò a terra. Lo presero due agenti, non riusciva a muoversi. Ma era una pellaccia, gli bastarono pochi giorni per ripartire. Per i successivi dieci anni, il ciclismo non avrebbe avuto altro re.