Palomba: «Stiamo ancora cercando il pirata che mi ha quasi investito nel miglior momento della mia carriera»

Palomba
Marco Palomba, ventitré anni, è stato costretto a terminare anzitempo la sua prima stagione tra gli Under 23 con la maglia della Padovani a causa di un incidente stradale in allenamento nel quale è stato quasi investito (credit: Photors).
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Marco Palomba ricorda benissimo la dinamica dell’incidente che lo ha coinvolto lunedì 15 settembre. L’allenamento volgeva ormai al termine e insieme al suo migliore amico, nonché ex compagno di squadra, Ettore Pozza stava percorrendo un falsopiano in leggerissima discesa tra Agugliana e Santa Margherita, sulla cresta di una collina. Una strada scelta proprio perché scarsamente trafficata.

«Andavamo a quaranta all’ora, non di più. Fortunatamente Ettore non era alla mia ruota, così da rimanere illeso e riuscire a soccorrermi tempestivamente. Ricordo una macchina che dal senso di marcia opposto e ad altissima velocità invade la nostra corsia. Io ho avuto la prontezza di capire cosa sarebbe successo se non mi fossi spostato e mi sono buttato sulla destra. Ho fatto un volo di una decina di metri, atterrando malamente e picchiando anche la testa. Ma lì per lì non sentivo dolore, ero solo scosso e arrabbiato per l’accaduto, tant’è che mi sono rialzato e ho ripreso la bicicletta. Sono durato cinque minuti, dopodiché è cominciato il calvario».

Spiegati meglio.

«Non respiravo, fitte lancinanti al torace e alla schiena. Ho chiamato a casa e mio padre mi ha portato all’ospedale di San Bonifacio. Dev’essere stato lì che ho detto le ultime frasi prima di perdere conoscenza. Per i tre o quattro giorni successivi mi hanno tenuto in una stanza ma sempre del pronto soccorso, quindi non posso dire d’essermi rilassato, ecco. Mi hanno rimandato a casa raccomandando riposo assoluto, dovevo evitare addirittura di salire in collina, a cento metri sul livello del mare, altrimenti il pneumotorace non sarebbe guarito».

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Una ventina di giorni prima dell’incidente, il veneto aveva rotto il ghiaccio nella categoria conquistando il Gran Premio Rovescalesi battendo Lock e Wood (credit: Photors).

Adesso come stai?

«Decisamente meglio, ma non mi sono ancora ristabilito del tutto. Credo ci voglia ancora qualche settimana. Mi è rimasto un fastidio al torace, che si fa sentire soprattutto quando la respirazione diventa più intensa. Ho provato anche a tornare in bicicletta, ma ho capito che non era il caso e non ho voluto forzare. Nella sfortuna, diciamo che in questo momento dell’anno posso permettermi di perdere qualche giorno in più, se ciò può significare la completa guarigione come mi auguro».

Siete riusciti a rintracciare il pirata che stava per investirti?

«Non ancora, purtroppo, ma lo studio legale che mi segue ci sta lavorando. La strada su cui pedalavamo è di campagna, poco battuta, usata forse dai residenti della zona. E non ci sono telecamere. Ultimamente, proprio per evitare certi rischi, avevo preso l’abitudine di allenarmi in zone più tranquille, addirittura su alcune piste ciclabili dove ci fosse ovviamente l’opportunità di spingere senza essere un problema per nessuno. Non è bastato. Sono episodi davvero spiacevoli».

Venti giorni prima, a Rovescala, avevi centrato il tuo primo successo tra gli Under 23.

«Difatti è stato uno dei motivi di maggior dispiacere, al di là della paura e del dolore. Non mi ero mai sentito così forte e sicuro dei miei mezzi, in quel periodo avevo chiuso anche secondo a Briga, quinto alla Firenze-Viareggio, ottavo a Carnago al termine di una gara maledetta condizionata da due forature, il giorno successivo quarto alla Freccia dei Vini nonostante le energie spese ventiquattr’ore prima. È la storia della mia carriera. Non riesco ad avere pace né continuità, periodicamente devo rialzarmi da un incidente o da un problema fisico».

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Nel 2021, nel 2022 e nel 2024, Palomba aveva militato nella General Store. In foto è sulla sinistra, mentre a destra c’è il suo ex compagno di squadra Giovanni Bortoluzzi (credit: Rodella).

Anche per questo la tua prossima stagione, la seconda tra gli elite, potrebbe essere l’ultima?

«Hai detto bene, non so se a ventiquattro anni (li compirà il prossimo 5 maggio, ndr) ritroverei gli stimoli per proseguire ancora. Non so nemmeno quando potrò ricominciare ad allenarmi come si deve. Mi fa piacere e mi tiene tranquillo, questo sì, la fiducia che una grande squadra come la Padovani ripone in me: mi seguono, mi aiutano, mi aspettano, e per un corridore in difficoltà non c’è niente di meglio. La società pensa in grande e si muove nella maniera corretta, lo staff è più che qualificato e sono certo che il progetto potrà soltanto crescere. Sarebbe bello, nella prossima stagione, centrare almeno una vittoria in memoria di Kevin Bonaldo: la sua scomparsa è stata davvero un colpo tremendo».

Eppure, fino all’estate, il tuo 2025 non ha spiccato il volo. Perché?

«Inizialmente avevo cambiato preparatore, ma non sono mai arrivato a sentirmi a mio agio. Dopo mesi di collaborazione e tentativi, alla fine d’accordo con la squadra ho preferito tornare al mio vecchio preparatore, Davide Bastianello. Ormai mi segue e mi conosce da diverso tempo, il rapporto tra me e lui non è esclusivamente lavorativo, è una presenza fissa abituata ad ascoltarmi, a spronarmi e a darmi i consigli giusti. Nella carriera di ogni atleta, ma più in generale direi nella vita di ognuno di noi, figure del genere sono imprescindibili e insostituibili. Tra i motivi che mi hanno rallentato durante la primavera non bisogna poi dimenticare anche un acutizzarsi di un’asma che ho dovuto curare».

Cosa comporta, per un corridore, avere l’asma?

«Ne ho sempre sofferto, sotto sforzo. La cura l’ha stabilita il dottore che mi segue, il primario dell’ospedale di Negrar, e quotidianamente faccio uso di un inalatore. Dovunque vada, porto con me tutta la documentazione necessaria, almeno non ho niente da temere nel caso di un controllo antidoping. È giusto essere sempre in regola e poterlo dimostrare al bisogno».

Il passaggio di un elite come Manenti alla Vf Group dei Reverberi è una boccata d’aria per voi coetanei, no?

«Se l’è meritato, i miei complimenti per la stagione ricca e costante che ha vissuto. Sono contento per lui ed effettivamente è un segnale, seppur piccolo, dell’attenzione che certe realtà rivolgono ancora agli elite. Però stiamo parlando di un atleta e basta, per un Manenti che ce la fa ci sono tanti altri elite purtroppo senza speranze. Quando mi è capitato di correre tra i professionisti mi sono trovato bene, essendo io un attaccante piuttosto resistente e buono per tutte le stagioni. Tuttavia, nel gruppo vigono delle leggi non scritte, e una di queste dice che i corridori delle continental come il sottoscritto devono lasciare le prime posizioni del gruppo agli atleti delle World Tour e poi a quelli delle Professional. Insomma, per mettersi in mostra nelle gare della massima categoria bisogna essere degli ottimi atleti. Il mio obiettivo è di diventarlo, speriamo di riuscirci»