Perché in Italia non nascono più atleti come Paul Double?

Double
Paul Double, ventinove anni, ha conquistato la tappa regina e la classifica generale del Tour of Guangxi, rispettivamente la quarta e la quinta affermazione della sua prima stagione nel World Tour con la maglia della Jayco AlUla (foto: SprintCyclingAgency)
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La storia di Paul Double è davvero particolare. Nato a Winchester, in Inghilterra, il 25 giugno del 1996, ha cominciato a correre seriamente soltanto nel 2017 dopo l’ingresso nell’accademia di Flavio Zappi, rimasto colpito un anno prima dalla natura grezza (e quindi ancora malleabile) di certe sue prestazioni. Il quarto posto nella classifica generale del Tour of Bulgaria 2020 fu il primo piazzamento di un certo peso. Al Giro di Romagna del 2021 lo batté soltanto Ayuso. Nel 2022 iniziò a mettersi in mostra tra i professionisti: sesto al Tour of Hellas e all’Appennino, nono all’Adriatica Ionica, settimo al Tour of Slovenia, una vittoria di tappa in Bulgaria. Tanto da meritarsi, nel 2023, il debutto nella massima categoria con la Human Powered Health. L’ottavo posto al Tour of Slovenia e il sesto al Tour of Langkawi confermarono la bontà dell’investimento, ma la squadra cessò l’attività e per un attimo Double pensò di chiudere una volta per tutte una carriera perennemente incerta. Invece lo ingaggiò la Polti e il britannico dimostrò di poter rimanere a certi livelli: settimo al Giro d’Abruzzo, terzo al Tour of Türkiye, sesto in Slovenia, settimo all’Appennino. Quanto bastò per convincere la Jayco AlUla ad offrirgli un biennale nel World Tour.

A ventinove anni, alla prima stagione ai massimi livelli, a Double non sono tremati i polsi. Sessantasei giorni di corsa complessivi (compreso il debutto in una grande corsa a tappe al Giro d’Italia), due soli ritiri tra San Sebastian e Tre Valli Varesine, e ben cinque vittorie: una frazione alla Coppi e Bartali, e un successo di tappa e la generale sia al Tour de Slovaquie che al Tour of Guangxi, avendo la meglio su corridori come Narváez, Uijtdebroeks e Bilbao, soltanto per citarne alcuni. Considerando la crescita avuta nell’ultimo anno, non ci sarebbe da stupirsi nel vederlo alzare le braccia al cielo in una frazione d’alta montagna del Giro e della Vuelta. Nella storia della sua progressione figurano anche due squadre italiane: la Colpack, nella quale Double militò nel 2019, e soprattutto la Mg.K Vis, continental di cui ha fatto parte nel 2021 e nel 2022. Ironia della sorte, dopo averne lanciati a decine il movimento giovanile italiano non sembra più in grado di plasmare un corridore (italiano) come Paul Double, il più classico degli atleti cresciuto nel tempo.

A memoria, negli ultimi anni soltanto Fiorelli ha vissuto una parabola analoga, maturando alla Vf Group fino a meritarsi la chiamata della Visma, anche se con i Reverberi avrebbe potuto e dovuto vincere di più e tenendo presente che difficilmente, alla corte degli olandesi, potrà godere della stessa libertà di Double alla Jayco AlUla. I risultati raccolti dal britannico quest’anno, alla prima stagione nel World Tour, fanno fatica a raccoglierli discreti professionisti italiani nel giro da sette o o otto stagioni. C’era una Alessandro De Marchi, insomma, esempio emblematico di attaccante cresciuto nel tempo, buon dilettante arrivato a vincere tre tappe alla Vuelta, una al Delfinato e una al Tour of the Alps, un Giro dell’Emilia, una Tre Valli Varesine e il numero rosso di supercombattivo al Tour del 2014 rispettando una maturazione né più né meno che ragionevole. Ma nel ciclismo italiano degli ultimi anni, evidentemente, di ragionevole c’è poco: talenti che si ridimensionano, seconde linee che rimangono tali, ottimi atleti che non riescono a dare continuità alle loro saltuarie brillanti prestazioni. Nemmeno gli elite recentemente approdati tra i professionisti (Meris e Lucca i casi più eclatanti) hanno saputo replicare quanto di buono fatto tra gli Under 23, dando l’impressione di non poter andare effettivamente oltre un certo livello. Vedremo, nei prossimi due anni, se Manenti sarà una felice eccezione: un corridore verrebbe da dire normale, che non si ingrigisca nel gregariato, che non s’impigrisca nel portare la bicicletta all’arrivo e che sappia salire (uno alla volta e fin dove potrà, si capisce) i gradini del professionismo.