Perez l’uruguaiano: «Per fare il corridore mi sono trasferito in Belgio a sedici anni»

Perez
Ciro Perez, vent'anni, è il campione uruguaiano degli Under 23 e corre nella Mg.K Vis. È alla seconda stagione nella categoria e ha conquistato piazzamenti interessanti come il quinto posto alla Coppa della Pace e a Poggiana.
Tempo di lettura: 4 minuti

Ciro Perez torna a Paysandú, in Uruguay, da ottobre a febbraio. Nei sette mesi restanti vive al Cinquale, tra Forte dei Marmi e Marina di Massa, rigorosamente da solo e senza mai avvertire malinconie e nostalgie. Quando deve allenarsi e correre, si allena e corre; altrimenti, si concentra sugli studi di business admnistration, facoltà di un’università londinese che frequenta a distanza. Nella sua vita non c’è molto di più e non sembra soffrirne.

«Angelo Baldini, il capo della Mg.K Vis per cui corro, vive qui vicino. E a Massa c’è Lapo Bozicevich, mio compagno di squadra, ma capita raramente di allenarsi insieme. Quando lo racconto rimangono di stucco anche i miei connazionali: com’è possibile che io, così giovane, non accusi la mancanza di casa pur vivendo così lontano per diversi mesi all’anno? Mi viene talmente naturale che non saprei cosa rispondere. Il ciclismo è la mia grande passione, il mio sogno è diventare professionista e di conseguenza non ho dubbi sulla vita che sto conducendo. Come andrà a finire non lo so, ma io sono tranquillo e soddisfatto di come sta andando».

Prima di trasferirti in Italia, hai vissuto due anni in Belgio. Perché?

«Io ho cominciato a pedalare intorno ai quattordici anni seguendo le gare amatoriali in mountain bike di mio padre, che nella vita di tutti i giorni è un chimico. Io all’epoca giocavo a calcio, ero un centrocampista e me la cavavo discretamente, però non mi piaceva venir sostituito e dipendere troppo dal contesto. Pedalare mi è piaciuto fin da quando ho provato e ho iniziato subito a vincere. Due anni dopo, più o meno, correvo tra gli juniores in Belgio».

Nello Start Junior Cycling Team, raccogliendo peraltro piazzamenti e successi. Com’eri entrato in contatto con l’ambiente?

«Mauricio Frazer, il team manager, è argentino, ma vive in Belgio da una vita. L’obiettivo della squadra è quello di dare ai giovani sudamericani la possibilità di conoscere l’Europa e di correrci. I colombiani non sono contemplati perché hanno più squadre e più possibilità, ma tutti gli altri sì. Così sono finito a vivere a Oudenaarde, la località dove termina il Giro delle Fiandre, insieme ad altri ragazzi uruguaiani, brasiliani, messicani e argentini».

Cos’hai imparato?

«Intanto che i belgi sono meno aperti e solari dei sudamericani e degli italiani. Scherzi a parte, ho appreso le basi del ciclismo. In Belgio le strade sono strette e i cambi di direzione frequenti, il vento è una costante e si corre con il coltello tra i denti dall’inizio alla fine. In Italia, invece, devo dire che le gare funzionano diversamente: c’è più attesa, non serve a nulla rincorrere ogni tentativo, ma allo stesso tempo bisogna essere sempre concentrati perché l’azione giusta può nascere in qualsiasi istante».

Fiandre
Trasferitosi in Belgio per militare tra gli juniores, Perez è andato a vivere ad Oudenaarde, località d’arrivo del Giro delle Fiandre. Il suo muro preferito? L’Oude Kwaremont, uno dei più rappresentativi della Ronde.

Avrai avuto modo di pedalare sui muri del Fiandre: qual è il tuo preferito?

«L’Oude Kwaremont, peraltro molto simile alla Cote de Kimihurura affrontata al mondiale. Quella zona del Belgio la conosco come le mie tasche e pedalandoci giorno dopo giorno ho finito per innamorarmi della Ronde e della rigorosità con cui trattano il ciclismo laggiù. Il Giro delle Fiandre e il mondiale sono le gare che un giorno vorrei vincere. La natura potrebbe aiutarmi, essendo io un corridore da classiche veloce a ranghi ristretti e a proprio agio sugli strappi che vanno dai due ai sei minuti».

Appunto, quali sono i tuoi pregi e i tuoi difetti?

«Sono sempre stato bravo ad intuire come può svilupparsi la corsa, questo me lo devo riconoscere. Il mio difetto più grande, invece, è che parto sconfitto quando sul percorso ci sono una o due salite più lunghe e più dure, diciamo intorno ai dieci minuti di durata. Ho già cominciato a lavorarci, ma sono ancora lontano dalla soluzione».

A quali corridori ti ispiri?

«Sono cresciuto guardando in televisione i duelli tra Contador, Froome e Quintana, quindi non posso non menzionarli. Soffermandomi sulle mie caratteristiche, dovrei dire Alaphilippe. Ammiro Guillermo Thomas Silva ed Eric Antonio Fagundez, se non sbaglio gli unici due uruguaiani attualmente professionisti, il primo nella Caja Rural e il secondo nella Burgos. Ma il mio maestro è stato uno: Milton Wynants, l’unico mio connazionale ad aver ottenuto una medaglia olimpica nel ciclismo, fu argento nella corsa a punti a Sydney 2000. Mi ha insegnato le basi dello sport, a Paysandú è un’istituzione».

Dallo scorso anno sei approdato tra gli Under 23 con la Mg.K Vis, trasferendoti in Italia.

«Ringrazio la società per essermi venuta a cercare e aver creduto in me, per me è importante aver corso in Italia e per giunta in una continental. Di quest’anno sono soddisfatto, mi ero posto degli obiettivi e li ho centrati: ho vinto la prova in linea dei campionati uruguaiani riservata agli Under 23, ho chiuso terzo in quella dei Giochi Panamericani e alla Milano-Busseto, nono al Marmo, quinto alla Coppa della Pace e a Poggiana, dove sarei potuto anche salire sul podio se non avessi sbagliato la volata».

Perez
Ciro Perez (il primo da sinistra) ha partecipato anche al Giro Next Gen. Tuttavia, non è riuscito a concluderlo dovendosi ritirare nel corso dell’ottava e ultima tappa (foto: LaPresse).

Ti sei meritato anche la convocazione per i mondiali in Ruanda, ovviamente sempre tra gli Under 23.

«Un’esperienza meravigliosa. Ho conosciuto un paese nuovo, sicuro, colorato, rispettoso e appassionato di ciclismo. Ho chiuso ventiquattresimo a 9’07” da Finn, ma per quanto strano possa sembrarvi è un piazzamento che non butto via. Correvo da solo, non sono un fenomeno e ho pur sempre fatto meglio dei sessantacinque corridori che si sono ritirati e degli oltre trenta che mi sono lasciato alle spalle. Ognuno dev’essere fiero di quello che raccoglie quando dà il massimo».

Un buon proposito per il nuovo anno?

«Non ho ancora deciso per quale squadra correrò, avendo ricevuto qualche offerta, e da questo punto di vista preferisco non parlare. Per quanto riguarda le corse, mi piacerebbe vincere almeno una classica internazionale del calendario italiano degli Under 23. Quello sì che sarebbe un risultato di cui si parlerebbe molto in Uruguay…».