Raccagni Noviero: «Per passare professionista, d’inverno ho trascorso sessanta giorni in Spagna»

Raccagni Noviero
Andrea Raccagni Noviero, 20 anni, è alla seconda stagione col vivaio della Soudal-Quick Step. Il suo obiettivo è passare professionista nel 2025 (foto: Guerin/DirectVelo)
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Domenica, dopo aver concluso al terzo posto la Gand-Wevelgem riservata agli Under 23, Andrea Raccagni Noviero ha tirato un sospiro di sollievo: il periodo peggiore, fatto di prove modeste e di sensazioni pessime, era definitivamente alle spalle.

«Sinceramente non siamo riusciti a capire cosa mi fosse successo – racconta Raccagni Noviero – Le analisi non hanno segnalato niente di anomalo, quindi mi viene da pensare che abbia sbagliato qualcosa in fase di preparazione. Io sono un corridore generoso, che pedala sempre un quarto d’ora in più del necessario, e potrei benissimo aver esagerato. Mi sono presentato alle prime gare stagionali fin troppo in forma: terzo alla Brussel-Opwijk e al Tour des 100 Communes, secondo nel cronoprologo dell’Istrian Spring Trophy. Dopodiché, all’improvviso, la mia forma è calata».

Qual è stato il punto più basso?

«Direi la Youngster Coast Challenge, insieme alla Roubaix e alla Gand erano i miei tre obiettivi primaverili. Quel giorno mi sono bastati alcuni chilometri per capire cosa mi aspettava. C’era vento e perdevo ogni ventaglio, faticavo a tenere le ruote altrui, ad ogni sforzo avevo la sensazione che le gambe stessero per esplodermi. Dopo sessanta chilometri ero parecchio staccato e ho preferito ritirarmi. Una corsa da dimenticare».

Non hai brillato nemmeno alla Roubaix: trentacinquesimo.

«Un risultato anonimo che non dice niente della buona gara che ho fatto. La Youngster e i pessimi ricordi di quella giornata erano distanti già tre settimane. Io mi sentivo nuovamente bene, direi quasi al mio massimo, e volevo strappare un piazzamento. Peccato che ad ottanta chilometri dall’arrivo mi sia scoppiato un tubolare. Ho dovuto attendere l’ammiraglia e ormai i migliori se n’erano andati. Ho inseguito, di più non potevo fare. Ma alla Roubaix conta molto anche la fortuna, non sono di certo io il primo a scoprirlo».

E poi, finalmente, il terzo posto alla Gand.

«Non è stata una gara durissima, sarò sincero. Il vento c’era, ma non sufficiente da aprire ventagli: tant’è che ci siamo sgranati e ricompattati in continuazione. Ad una quarantina di chilometri dalla fine hanno attaccato Artz e un mio compagno, Vanden Heede. Io non avevo capito chi erano i due in testa, ma quando poco dopo ho scambiato due parole con Vanden Heede, staccatosi, e ho capito che il battistrada solitario era Artz, ho subito pensato che non lo avremmo ripreso. È davvero bravo, non a caso ha già firmato un biennale con la Intermarché dei professionisti. Io però sono rimasto contento della mia prova, si tratta di un terzo posto prestigioso».

Terzo, ma secondo della volata a ranghi ristretti: ti confermi un corridore resistente, ma anche veloce.

«Me la sono sempre cavata, pur non essendo un velocista puro, ma a dire la verità è l’unico campo in cui mi pare di non crescere. Anzi, ho come l’impressione d’essere addirittura peggiorato rispetto a quando militavo tra gli juniores. Non sono uno sprinter, mai lo sono stato e mai lo sarò, anche se talvolta la squadra insiste nel sostenere che io lo sia».

Dunque in cosa ti senti migliorato rispetto allo scorso anno, quando eri al debutto tra gli Under 23?

«Fatta eccezione per la volata, praticamente in tutto. Sono aumentate le ore e i carichi di allenamento, se non crescessi ci sarebbe un problema. Lo scorso inverno ho trascorso in Spagna sessanta giorni per allenarmi: quindici a Calpe e trenta a Gran Canaria da solo, poi altri quindici di ritiro con i miei compagni. Nel 2025 voglio assolutamente passare professionista, quindi ho deciso d”investire su me stesso e sulla mia grande passione».

Dei sacrifici notevoli: come passavano le tue giornate?

«Io, finché posso, mi sveglio verso le otto e trenta e prima delle undici non esco. A volte dovevo affrontare la doppia attività, quindi andavo a correre al mattino e in bicicletta il pomeriggio. Tra farsi una doccia, mangiare e rilassarsi, la giornata era bell’e che finita. Allenamento e basta, in parole povere. Ma per raggiungere certi risultati bisogna saper stringere i denti. E poi spero davvero di passare professionista, perché un altro inverno del genere mica lo sopporterei…».

La Soudal-Quick Step non ha raccolto molto nelle classiche del Nord: i risultati della formazione maggiore si riflettono in qualche modo su voi giovani del vivaio?

«Direttamente no, nessuno ci chiede di vincere le gare degli Under 23 per tappare la falla dei professionisti. Da questo punto di vista, noi e loro siamo due mondi differenti e distinti. Però se ne parla, certo. Mi hanno illustrato il loro progetto: rilanciare il gruppo delle classiche puntando sul talento di Lamperti e Magnier. Ma per quanto promettenti hanno bisogno di tempo, quindi ci vorrà qualche anno. La squadra ha fatto sapere di volermi tenere, mi piacerebbe far parte di quel blocco».

Adesso ti attende il Tour de Bretagne, che comincia dopodomani.

«Sette tappe mosse, una raggiunge quasi i duecento chilometri e due, addirittura, le superano. È una corsa di livello, essendo una 2.2 si affrontano anche corridori più esperti che corrono da tanti anni nel circuito delle continental. Il massimo sarebbe vincere una tappa, lo stesso risultato che poi vorrei raggiungere al Giro Next Gen, a cui parteciperò dopo un periodo di ritiro sul Pordoi».