Fondriest: «Bici sempre più veloci, ma non è solo colpa loro»

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Maurizio Fondriest in una foto d'archivio al Giro d'Italia 2023
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La caduta al Giro dei Paesi Baschi e le gravi conseguenze su alcuni dei campioni più amati hanno creato scalpore e dato il via alle analisi più disparate, tutte con qualche fondamento anche se nessuna potrà mai evitare che questi incidenti possano accadere perché le cause sono spesso diverse e non tutte eliminabili.

Molte attenzioni sono state dedicate alle biciclette che negli ultimi anni hanno avuto una grandissima evoluzione nei materiali e nelle geometrie. E’ da ricercare in esse la causa di molte cadute? Maurizio Fondriest è stato un professionista di grande qualità ed esperienza e, al termine della sua lunga e vincente carriera, è stato anche un costruttore di biciclette. Cosa ne pensa?

«Purtroppo le cadute ci sono sempre state e sempre ci saranno e le cause possono essere talmente tante che è difficile codificarle, ma non credo – afferma con decisione Fondriest – che sia l’evoluzione della bicicletta la causa principale. Nel caso di Vingegaard poi mi dicono che sono state delle radici che hanno mosso l’asfalto a provocare la caduta».

E’ innegabile che grazie a biciclette più performanti sia aumentata la velocità nelle corse.

«La velocità è un problema, certo. E’ lo stesso problema che denuncia la Formula Uno, lo sci e tutti gli sport che con l’evoluzione hanno permesso alla velocità di aumentare. Ma la velocità non è solo figlia del mezzo, è favorita da strade meglio asfaltate, dal miglior rendimento dell’atleta, da più fattori che contribuiscono oggi a rendere la medie superiori di sette, otto chilometri orari rispetto ai miei tempi».

Telai più rigidi garantiscono una maggiore reattività, ma sono indiscutibilmente meno “guidabili”, rendono più difficile il superamento di un possibile errore di guida.

«E’ vero questo. La geometria del telaio ed i materiali usati hanno negli anni cercato di garantire all’atleta la maggiore rigidità per rendere il mezzo più reattivo, ma va anche detto che le gomme oggi sono più larghe e garantiscono una maggiore aderenza al terreno, quindi stabilità ed i freni a disco consentono una frenata modulabile che è più affidabile».

Le gomme dunque “salvano” gli atleti?

«Direi di sì perché oltre ad avere una sezione più larga, quindi una maggiore superficie che tocca l’asfalto, vengono anche gonfiate meno per aumentare ancora l’aderenza».

Anche l’alto profilo delle ruote non favorisce la guida.

«L’alto profilo favorisce la velocità e rende la bici un po’ più rigida nella guida. Si potrebbe mettere un limite al profilo trovando un punto di incontro tra tutte le parti coinvolte, ma è anche vero che i corridori sono ormai abituati a guidare questi mezzi e non credo che una riduzione del profilo sia facile da realizzare».

E’ innegabile però che le cadute sono diventate molto più frequenti e spesso le conseguenze sono più gravi, molto più gravi di quanto avveniva in passato.

«In generale credo siano due le cause: la leggerezza delle biciclette e l’alta velocità. Sulla prima si può intervenire aumentando il peso minimo. Varrebbe per tutti e non muterebbe i valori tecnici. Sulla seconda credo sia molto difficile operare. Ma è innegabile che la velocità finisce per incidere anche sulle conseguenze delle cadute. Se cadi a trenta allora o a sessanta e ovvio che i danni sono diversi. Non dimentichiamo anche che le strade favoriscono la velocità, ma non sempre sono perfette: le rotonde, le canaline a bordo strada, qualche buca…».

Quanto l’industria spinge per queste innovazioni e condiziona l’Uci?

«L’industria fa il suo lavoro e credo anche con grande responsabilità. In fondo sta migliorando il mezzo, l’Uci piuttosto dovrebbe agire su altri fronti».

Quali?

«Troppi atleti vanno nelle squadre WorldTour senza aver acquisito esperienza. Se il WorldTour è il vertice del movimento, non ci si può arrivare senza aver fatto esperienza in squadre Professional. Io penso che ci vorrebbero almeno due anni di gare nella categoria inferiore prima di cimentarsi nell’elite. E poi…».

Poi?

«E’ cambiato anche il modo di correre. Quando io correvo al mio fianco avevo sempre due corridori, oggi i capitani sono circondati da tutta la squadra. E’ ovvio che davanti non ci sia posto per tutti. Gli spazi sono sempre più risicati ed i contatti sempre più frequenti. Basta pochissimo per provocare la caduta. Anche per questo dico che ci vuole mestiere, esperienza ed arrivare senza questa formazione al vertice è un rischio per tutti».