La delusione di Buda: «Continuo alla Solme, ma meritavo il professionismo»

Simone Buda (Solme-Olmo) festeggia la vittoria del 76° Trofeo Visentini a Nogarole Rocca (Foto Stefano Ballandi)
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Simone Buda nella vita ha altro che lo appaga, ma è anche vero che la bici riempie le sue giornate da ormai 15 anni. Dal 2009 a oggi ha pedalato tra la felicità dei suoi risultati e le delusioni del suo status: quello di Buda è solo un ennesimo caso di corridore sbocciato più tardi. Se una curva rappresentasse su un grafico la sua carriera, la fase più bassa della linea segnerebbe il suo 2023. Tra l’allenamento in palestra e l’uscita in bici ci spiega perché la sua curva non tende verso l’alto.

«Non si tratta delle mie prestazioni: sono contento perché i risultati ci sono stati e sono sotto gli occhi di tutti, sono deluso dal risultato finale perché non sono riuscito a passare “di là”. Non è che io sia dispiaciuto, è che sono proprio deluso. Si sente dire sempre che mancano i ragazzi: ciò che penso io è che manca qualcosa ai piani alti».

I tuoi risultati di quest’anno sono sicuramente degni di nota.

«Sono molto contento perché abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati, dal vincere una corsa internazionale all’estero alle continue prestazioni da febbraio a ottobre. Non si tratta sempre di vincere ma anche di fare podi continuamente e posizionarsi bene nelle gare. Da questa stagione non avrei chiesto nulla di più: ho corso 85 giorni di gara e fatto più di 20 piazzamenti. Forse ho anche corso troppo, ma la squadra è spesso stata a disposizione mia e così io ho deciso di aiutarli in più gare».

Speravi che mettendoti in mostra all’estero si sarebbero aperte più porte?

«Estero o no, non è quello il punto. Si tratta di dare continuità e costanza ai risultati che però non vengono ripagati. Proposte ne sono arrivate? Le chiamerei chiacchiere con altre squadre. Ho parlato con molta gente e ho ricevuto altrettanti complimenti, ma quando era il momento di firmare sparivano tutti. Secondo me è stata una grandissima stagione e non mi capacito di come io non possa essere passato. Ma parlo di me come di tantissimi altri ragazzi. Non siamo noi che manchiamo, e spesso si sente questo, ma è altro».

Dopo aver vinto una tappa, Buda vince anche la maglia verde del Gemenc Grand Prix in Ungheria (Foto Solme-Olmo)

Per esempio?

«Per esempio le strutture e le squadre in Italia. E poi, una volta passavano professionisti 20 o 30 corridori l’anno. Tu dimmi quest’anno quanti ne sono passati. Ci arriviamo a 6 o 7? A volte passa della gente che non ti spieghi il perché, mentre chi ha fatto risultati con costanza non ottiene questo privilegio».

Come lo hai saputo che per te non c’era posto tra i professionisti?

«Quando a ottobre ho concluso la mia stagione, con il team manager e tutto lo staff della Solme-Olmo abbiamo deciso di prenderci 15 giorni per cercare di portare a termine tutti i discorsi che si erano aperti. Sono andato in vacanza e poi al mio ritorno, a novembre, mi hanno detto che per me non c’era spazio “di là”. Di getto avevo deciso di smettere, questa è la verità: ti obbligano a smettere. Non conosco i movimenti che ci sono all’estero, so che la realtà italiana è questa che dico e io ne sono schifato. Solo che non vorrei lasciare il ciclismo con questo amaro in bocca».

Quindi non smetterai?

«La mia famiglia e chi mi vuole bene mi ha invogliato a continuare, a riprovarci, perché sono ormai veramente vicino a ciò che sogno fin da quando sono bambino. Con la testa e il fisico ci sono, i compagni nuovi mi sembrano devoti alla mia causa: così ho trovato tutte le condizioni per provarci un altro anno. Puntando sempre più in alto. Quando avevo deciso di lasciare il ciclismo non ero affatto preoccupato, penso che giù dalla bici ci sia una bellissima vita che prima o poi tocca a tutti noi, però ero molto deluso dal movimento».

Simone Buda aveva deciso di abbandonare il ciclismo a causa del mancato passaggio al professionismo. Ha cambiato idea e ci ritenterà un’altra volta nel 2024 (Foto Stefano Ballandi)

Avevi già pensato ad un piano B?

«Per ora resto sul piano A, ma il piano B ce l’ho già, è ben saldo nella mia testa e ho anche già pronte determinate cose che sto continuando a portare avanti. Si tratta di un ambito sempre relativo al ciclismo: mi piacerebbe avere un negozio con tante cose per la bici e poi mi piacerebbe anche strutturare un supporto a tutti i ragazzi della zona per superare momenti difficili come i miei e accompagnarli in questo mondo che facile non è».

Cosa si potrebbe fare per evitare che ad altri accada ciò che sta accadendo a te?

«Non sarebbe giusto mettere obbligatorio il passaggio per tutte le categorie prima di arrivare al professionismo, così come non è giusto dire che un corridore a 18 anni è troppo giovane – vedi Theodor Storm – e che a 24 è troppo vecchio – come me. Ognuno ha i suoi tempi per maturare e anche le mentalità sono cambiate: se a me a quell’età mi avessero proposto di correre con i professionisti avrei detto di sì ma probabilmente dopo 20 chilometri mi sarei staccato. La mia proposta per evitare tutto ciò è quella di aspettare la maturazione della persona».