Negrente: «In cuor mio sognavo di entrare in un vivaio, felice di essere in quello dell’Astana»

Negrente
Mattia Negrente conquista il Giro di Primavera anticipando Turconi (foto: Assali Stefen Makro)
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«Il ciclismo l’ho conosciuto tramite i racconti e le gare a cui partecipava mio fratello Marco – racconta Mattia Negrente I miei genitori non conoscevano questo sport e quindi, curiosi, lo ascoltavano. Lui è del 1997, ha otto anni in più. E proprio a otto anni ho iniziato a pedalare anche io, seguendo le sue orme. Se siamo simili? A dire la verità no, anzi, siamo all’opposto: io estroverso e lui più tranquillo, io più veloce e lui più bravo in salita. Correva nella Colpack e se la cavava bene: nel 2017 vinse l’Edil C battendo Lucas Hamilton, oggi professionista alla Jayco-AlUla, e Riabushenko, che l’anno prima era diventato campione europeo degli Under 23. Che abbia dovuto smettere è un peccato».

La tua carriera, invece, procede spedita: dopo l’esperienza tra gli juniores con la Assali Stefen Makro, hai scelto l’offerta del vivaio dell’Astana.

«Mi seguivano da tempo, sono sempre rimasti in contatto col mio procuratore, Alessandro Mazzurana. In cuor mio ho sempre sperato di finire in una development: si respira il professionismo, non c’è niente da fare. Se il primo anno tra i dilettanti avessi dovuto trascorrerlo in una formazione italiana non ci sarebbero stati problemi, avrei provato ad entrare in un vivaio nel 2025. Ma ci sono entrato adesso e ne sono felice».

Negrente nell’Astana Development Team troverà altri tre italiani: Zanini, Toneatti e Romele

Chi è il professionista che hai preso come riferimento?

«Durante il ritiro spagnolo terminato pochi giorni fa mi ha colpito Cavendish. E’ uno dei nomi della mia infanzia, mai avrei creduto di poter pedalare al suo fianco quasi da colleghi. Quella che ho conosciuto io è una bella persona: disponibile, uno di noi insomma. Per il resto, mi fa piacere che nel vivaio dell’Astana ci siano anche altri tre azzurri: Romele, Toneatti e Zanini. Parlare la stessa lingua può rivelarsi prezioso».

Oltre a Cavendish, chi erano i corridori che tifavi?

«Ci metto Nibali nei suoi anni d’oro e soprattutto Peter Sagan, il ciclista che ho tifato più di ogni altro. Era divertente e dava l’impressione di divertirsi lui stesso. In più, vinceva: agli occhi di un ragazzino era la perfezione».

A chi senti di assomigliare di più tra Cavendish, Sagan e Nibali?

«Non ho mai pensato di poter assomigliare ad un professionista, se devo dirla tutta. Probabilmente a nessuno dei tre. Me la cavo in salita e nelle volate a ranghi ristretti. Al massimo posso dirti quello che non sono: uno scalatore puro, un velocista capace di imporsi negli sprint di gruppo. Qui mi fermo: avendo diciotto anni e mezzo, il resto è da scoprire. Ad esempio, non ho ancora capito come potrei cavarmela nelle cronometro».

Più cacciatore di tappe o uomo da classifica?

«Se posso sognare in grande, già vincere una tappa al Giro o una al Tour sarebbe stupendo. Stesso discorso per il Lombardia. Però quest’anno ho raccolto anche qualche buon segnale per quel che riguarda le classifiche generali. Non alla Corsa della Pace, lì sono caduto e la mia forma era in fase calante, ma alla Medzinárodné dni cyklistiky Dubnica nad Váhom, tre tappe in Slovacchia con la maglia della nazionale: sesto in classifica generale col successo nell’ultima frazione. Ho recuperato bene, mi sentivo pimpante».

Mattia Negrente in azzurro alla Medzinarodne Dubnica nad Vahom, breve corsa a tappe slovacca in cui ha centrato la vittoria nell’ultima frazione (Foto Fci)

Cinque affermazioni stagionali, tre in ambito internazionale: oltre alla tappa in Slovacchia, anche il Giro di Primavera e il Trofeo Buffoni.

«Di essere bravino l’ho sempre saputo, ma è dopo questi tre successi che ho preso davvero consapevolezza del mio valore. Ho capito che il ciclismo può diventare il mio mestiere e la mia vita. Una vittoria può arrivare per tanti motivi diversi, non ultimo la fortuna. Ma tre, e perlopiù contro i coetanei più forti in circolazione, devono pur voler dire qualcosa».

Ti sei posto qualche obiettivo per la prossima stagione?

«Intanto vorrei finire le superiori. Sono in quinta, frequento il Sanmicheli di Verona, indirizzo socio-sanitario. Prima di iscrivermi all’università, vorrei concentrarmi per un anno o due esclusivamente sul ciclismo, per capire cosa posso tirarci fuori. E il vivaio dell’Astana credo che sia il posto giusto per capirlo».