Colnaghi: «Se dovessi passare professionista, il primo che ringrazierò sarà Olivano Locatelli»

Colnaghi
Andrea Colnaghi con la maglia della Onec nel 2023 (foto: Onec)
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«Quando Davide, il mio gemello, decise di smettere nel 2021 – racconta Andrea Colnaghidissi a me stesso: non vorrei ritirarmi così. Probabilmente sentivo che avevo ancora qualcosa da dare, e se c’è una cosa che io non sopporto sono i rimpianti. Quell’anno fu l’unico che io, Davide e Luca, il più piccolo di noi tre, trascorremmo insieme alla Trevigiani. Fu una bella esperienza. In quei giorni di fine anno, non appena venni a sapere che Olivano Locatelli sarebbe tornato in ammiraglia con la Onec, non persi tempo: gli mandai un messaggio, gli feci sapere che se avesse voluto ingaggiarmi io mi rendevo disponibile. Anzi, tornare a correre con lui non mi pareva vero».

Perché, Andrea?

«Perché è l’unica persona del mondo del ciclismo che abbia mai veramente creduto in me. Io lo avevo già avuto alla Palazzago nel 2017 e nel 2018, guarda caso quando raccolsi alcuni dei miei risultati migliori: specialmente nel 2018 chiusi nono al Piva e quinto al campionato italiano, anticipato soltanto da Affini, Dainese, Corradini e Mozzato. Tre su quattro, oggi, sono apprezzati professionisti».

Cos’ha lui che non hanno avuto gli altri direttori sportivi che hai incontrato?

«Mi ascolta, crede in me, mi dà fiducia. E poi è bravo, non c’è niente da fare: ha carisma, capisce di ciclismo e di preparazione, sa quali tasti toccare. Devo dire che rispetto a qualche anno fa si è calmato, ma il tempo passa per tutti e il ciclismo cambia alla velocità della luce. Però rimane una figura autorevole ed esigente: quando si arrabbia, è ancora il Locatelli di una volta. Se mai dovessi passare professionista, il primo che ringrazierò sarà lui».

A proposito di professionismo, il 9 ottobre compirai 26 anni: continuerai a correre anche se non dovessi trovare un contratto nella massima categoria?

«Per il momento non ci penso, la mia volontà è quella di dare fondo a tutte le mie risorse. Soltanto allora tirerò una riga e stilerò un bilancio. Però hai ragione, sono pensieri che ogni tanto attraversano la mia mente: e se non dovessi passare professionista, non escludo di smettere. Io continuo a credere nel mio sogno, ma ad oggi non si è mai fatto avanti nessuno per me».

Fai parte della categoria dal 2016: hai qualche rimpianto?

«Certo che ne ho. Non tanto per quello che riguarda le singole gare, in tante occasioni ho trovato chi era più forte di me e mi sono dovuto accontentare. Sarà che è più fresco come ricordo, ma l’unico episodio che mi viene in mente è il Città di Empoli di quest’anno: ho lanciato la volata da troppo lontano, altrimenti non sarei arrivato soltanto ottavo. I miei rimpianti più grandi riguardano la scelta di certe squadre: ho trovato ambienti non adatti a me e calendari che non valorizzavano le mie caratteristiche».

Quali sono?

«Quelle di un corridore da classiche, velocino e abbastanza resistente sulle salite di breve e media lunghezza. Sono alto 1,70 e peso 58 chili, rimango dell’idea che se mi allenassi in una certa maniera andrei forte anche sulle ascese più lunghe. La gara dei sogni rimane la Milano-Sanremo, mi affascina l’incertezza che caratterizza il finale. Quest’anno puntavo alla Firenze-Viareggio, ma sulla salita finale non avevo grandissime sensazioni. I prossimi appuntamenti in cui vorrei ben figurare, invece, sono la Coppa Collecchio e la Freccia dei Vini».

C’è un corridore a cui ti ispiri?

«Io ho sempre amato Bettini, quando ho cominciato a sei anni forse era proprio il prototipo dell’uomo da classiche. Era scaltro e sfrontato, attaccava anche da lontano e quando meno gli altri se lo aspettavano. Un fuoriclasse. I suoi due mondiali me li ricordo come se li avesse vinti ieri, specialmente il secondo. Non l’ho mai conosciuto, ma due chiacchiere ce le farei volentieri».

Che rapporto hai coi tuoi fratelli?

«Ottimo, direi. Io sono il più tranquillo dei tre, Luca e Davide invece sono più agitati ed esuberanti, specialmente il primo. Come caratteristiche tecniche, io e Davide ci siamo sempre assomigliati parecchio e quando abbiamo corso insieme ci siamo aiutati spesso e volentieri. A Luca, invece, invidio la grinta e la voglia di vincere. Non a caso è professionista da due anni con la Green Project».

E a te cosa manca per diventare professionista?

«Guarda, se me l’avessi chiesto qualche anno fa ti avrei risposto che non meritavo di entrare in quel mondo, che non me la sentivo, che non credevo di poterne far parte. Adesso, invece, grazie ad alcuni buoni risultati e al lavoro di Locatelli, credo di poterci quantomeno entrare. E poi, crescendo, di poter tenere botta. Al campionato italiano dei professionisti, quest’anno, ho anche centrato la fuga di giornata: poi mi sono ritirato, ma per lunghi tratti il ritmo l’ho tenuto bene. Spero mi venga data la possibilità di dimostrare che posso correre nella massima categoria».