Oioli: «Ho avuto la mononucleosi e sono svenuto in cima alla Forcola, ma ora conto di riscattarmi»

Oioli
Manuel Oioli in azione con la maglia della Q36.5 (foto: Pettinati Communication)
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Finalmente, dopo il sesto posto al Città di Brescia, Manuel Oioli si sentiva di nuovo pronto per centrare dei bei risultati e inseguire quella vittoria che tra gli Under 23 ancora gli manca. Intanto, piuttosto che subirla, la corsa avrebbe potuto impostarla in una maniera differente: già questo rappresentava un bel punto di partenza.

«E’ stato allora, a inizio luglio, che sono salito in altura a Livigno con la formazione professional della Q36.5. Una bellissima opportunità dalla quale volevo trarre il massimo. E invece, purtroppo, sono svenuto. E’ successo in cima alla Forcola, per andare verso la Svizzera. Sono arrivato in cima, ho messo il piede a terra e ho perso conoscenza. All’inizio abbiamo avuto paura: temevamo un problema al cuore».

E invece, Manuel?

«Invece è venuto fuori che ho un problema alla pressione, praticamente la minima mi si abbassa durante lo sforzo, mentre a cose normali dovrebbe alzarsi. Proprio martedì pomeriggio ho svolto l’ultima visita ed è andato tutto bene, adesso dovrei rientrare a correre a Briga il 10 agosto. Sono stati mesi complicati, adesso spero di levarmi qualche soddisfazione. E non è stato l’unico contrattempo della mia stagione».

Spiegati meglio.

«Pur senza aver vinto, ero soddisfatto della primissima parte della mia stagione. Avevo corso tanto chiudendo sesto alla Firenze-Empoli, raccogliendo un paio di piazzamenti al Tour di Algeria e disputando una buona Gand-Wevelgem. Poi, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, ho cominciato a sentire che dentro di me c’era qualcosa che non andava. Ho fatto degli esami e il responso è stato implacabile: mononucleosi».

Quanto sei stato fermo?

«Non è che abbia perso chissà quante gare, sarò sincero. Ma per un paio di settimane almeno non ho pedalato e poi, quando ho ricominciato, molto semplicemente non ero me stesso. Ho iniziato a sentirmi meglio alla fine del Giro d’Italia, tant’è che ero uno dei fuggitivi dell’ultima tappa, quella di Trieste. Foldager e Cretti, poi primo e secondo, mi hanno staccato, è vero, ma fino all’ultimo chilometro ero davanti a lottare insieme a loro».

Qual è stato il momento più complicato?

«Guarda, io non voglio passare per quello che giustifica una stagione storta con un mese di mononucleosi. Se non l’avessi avuta sarei stato più contento, si capisce, ma allo stesso tempo conosco corridori che hanno vissuto la mia stessa esperienza e si sono ripresi prima di me. Io sono così, ho bisogno di tanti giorni di gara per rientrare in forma. Però ecco, ci tengo a sottolineare questo: sarei un arrogante se dicessi che senza mononucleosi sarei andato forte tanto quanto Busatto, per fare un esempio».

Ma tra i due periodi di recupero quale hai sofferto di più?

«Quello più recente, dallo svenimento in avanti. Finalmente il colpo di pedale era soddisfacente, pensavo d’essere tornato me stesso e di potermi mettere in evidenza in ritiro coi ragazzi della professional. Non ci voleva, è ovvio che il morale non è altissimo. Ma rimango fiducioso per i prossimi appuntamenti: Briga, una corsa a cui tengo tantissimo, e poi Poggiana, Capodarco, Casentino, Corsanico. Il calendario è buono, non posso lamentarmi».

Dopo più di metà stagione con la Q36.5 sei soddisfatto?

«Sì, non rinnego assolutamente la decisione presa un anno fa. Mi trovo bene, la struttura è solida e ho l’opportunità di partecipare a tante belle corse. Peccato non poter partecipare alla Kreiz Breizh, la gara a tappe bretone che comincerà dopodomani, ma non si poteva fare altrimenti. Anzi, ringrazio la squadra perché mi ha trattato con cura nelle settimane più delicate. Io avrei forzato i tempi e sarei tornato a correre probabilmente rischiando troppo, loro invece mi hanno tenuto tranquillo e a riposo finché non ho dato segnali incoraggianti».

Daniele Nieri crede molto in te: è un bene oppure una responsabilità in più a cui far fronte?

«Entrambe. Io e lui andiamo molto d’accordo, mi fa piacere essere considerato così tanto, ma proprio per questo motivo mi punzecchia spesso perché non vuole che mi adagi. Si aspetta sempre tanto, è vero. Ad esempio, è dall’inizio dell’anno che mi ripete: dormi, ti fai sfuggire troppe occasioni. Ha ragione, ma quando uno subisce la gara è così, purtroppo. Al Città di Brescia, pronti via ed è andata via una fuga di trenta corridori, e io non c’ero. Abbiamo vissuto un’ora di fuoco ad inseguire, ma alla fine da quel drappello sono comunque usciti tre corridori che si sono giocati il successo».

Hai qualche rimpianto in particolare?

«No, non direi. Concordo con quello che dice Daniele su di me, ma sinceramente quest’anno non sono mai stato così vicino al successo da potermi recriminare qualcosa. Quando ho perso, ho perso nettamente e non potevo fare meglio. Quindi no, non ho rimpianti. Purtroppo, mi viene da dire».

Ma complessivamente ti senti più forte dello scorso anno?

«Sì, sotto ogni punto di vista. Sono meno esplosivo in volata, ma perché è aumentata la mole degli allenamenti e ho perso qualche chilo. La scorsa settimana, ad esempio, l’ho chiusa con ventotto ore in sella. Oltre a seguire il mio preparatore, ho cominciato anche a documentarmi in prima persona: voglio sapere cosa faccio e perché, almeno conoscendomi meglio sarò più capace di autogestirmi e sbagliare meno. Credo che un corridore che ambisce al professionismo come me non possa permettersi d’essere superficiale o eccessivamente automatico nella sua routine»