Un libro per celebrare Antonio Ghirelli e la sua passione per il giornalismo

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“Il mestiere più bello del mondo”, ecco come amava definire il suo lavoro di giornalista Antonio Ghirelli, una delle firme più importanti del secolo scorso. Un mestiere che lo ha visto protagonista in tutti i campi: dalla carta stampata alla televisione, dallo sport alla politica, e in ruoli diversi, da direttore illuminato a capo ufficio stampa della Presidenza della Repubblica con Sandro Pertini, a scrittore di racconti e saggi storici. I figli Guido e Massimo lo hanno voluto ricordare con un volume, edito per i tipi di Les Flaneurs, che ripercorre la sua carriera riproponendo una selezione di suoi articoli, interviste allo stesso Ghirelli e testimonianze dei tanti giornalisti che hanno collaborato con lui.  Riproponiamo di seguito il ricordo del nostro direttore Sergio Neri, che lavorò con Ghirelli al Corriere dello Sport. Racconta come nacque un grande reportage, la prova dello sbarco sulla luna realizzata nel deserto dell’Arizona, grazie all’intesa assoluta tra due giornalisti uniti dall’amore per “il mestiere più bello del mondo”.


Con Antonio, verso la Luna, andata e ritorno

Le cose sono andate così. L’Ambasciata americana aveva invitato alcuni giornalisti in un lussuoso albergo di via Veneto a Roma, per incontrare un astronauta americano, Frank Borman, che era stato il comandante dell’Apollo 8 e che per primo aveva circumnavigato la Luna. Tra quei giornalisti c’ero anch’io, benché appartenessi ad un quotidiano sportivo, il Corriere dello Sport, diretto da Antonio Ghirelli. C’ero anch’io perché da tempo ragionavamo sull’ipotesi di aprire gli interessi del giornale anche ad eventi in qualche modo confinanti con lo sport. Questo era l’indirizzo dato da Ghirelli, il quale aveva fatto del giornale, con la sua direzione geniale, uno strumento di alto livello culturale e anche di grande tiratura.

Quando tornai in redazione non nascosi il mio entusiasmo e Ghirelli, al quale mi legava una istintiva, spontanea sintonia nella gestione del mestiere, se ne accorse subito. Era ansioso di sapere com’erano andate le cose. Era fatto così, gli bastava un lampo per far fiorire un servizio. Gli dissi che avevo chiesto a Borman se a suo avviso si poteva dire che un astronauta assomigliava in qualche modo ad un campione delle Olimpiadi. E lui che cosa ti ha detto? Mi ha invitato alla Nasa per dimostrarmi come si allenano e come si concentrano gli astronauti. Venga laggiù, le dimostrerò che siamo proprio uguali ai campioni che vanno alle Olimpiadi.

Quella sera stessa Ghirelli ottenne fulmineamente dall’editore di far partire un inviato per gli Stati Uniti, subito, domattina. E quel viaggio, per fortuna, toccò a me.  Non c’era bisogno che aggiungessimo altre parole ai nostri discorsi. Sapevamo bene che cosa volevamo sicchè il giorno dopo io viaggiavo sul Pan Am delle dieci e trenta del mattino verso New York e Ghirelli annunciava già in prima pagina il reportage che avremmo realizzato. Era così che con Antonio Ghirelli nasceva il giornale. Bastava l’accenno ad una idea per trasformare l’idea in una avventura nella quale avremmo coinvolto i lettori. Questa era la fantastica magia d’un giornalista che aveva nel sangue il gusto della comunicazione e negli occhi il lampo dell’invenzione.

Arrivato a Houston così precipitosamente ebbi naturalmente grossi problemi per entrare alla Nasa. Da Roma doveva arrivare un okay dell’ambasciata salvo che in mio soccorso giunse subito, proprio davanti ai cancelli sbarrati della Nasa, un grande fotoreporter di Life Magazine il quale mi consigliò sottovoce di acquistare subito un biglietto in prima classe sul volo dell’indomani diretto al El Paso, confine col Messico. Io lo feci avendo capito che in quel sussurro c’era un messaggio e infatti l’indomani mattina mi ritrovai seduto in aereo accanto ad Armstrong, Aldrin e Collins, i tre astronauti che sarebbero andati sulla Luna. Era febbraio. Mancavano cinque mesi.

Il giorno dopo, all’alba, partimmo da El Paso per l’Arizona. Nel deserto delle Pietre Nere loro avrebbero fatto una prova scientifica dello sbarco sulla Luna e io ero l’unico giornalista europeo presente. Feci un cablo ad Antonio avvertendolo che in un giorno solo sarei stato di ritorno a Houston e che nella notte americana, corrispondente alla tarda mattina in Italia, mi avrebbero potuto chiamare per la trasmissione del pezzo. Tutto andò meravigliosamente bene. Armstrong mi offrì addirittura una parte del suo cibo tratto dalla gavetta militare che gli avevano fornito (spezzatino durissimo però fantastico, per me) quindi io tornai da El Paso a Houston che era notte. Mi misi a scrivere e prima del tempo concordato mi chiamò da Roma il giornale. Dissi che non ero ancora pronto. 

La stenografa mi rispose che avrei potuto dare anche solo le prime righe, il direttore era impaziente: ogni cinque minuti entrava nella sala delle registrazioni per avere notizie del collegamento. Tutto bene, io scrissi per quasi due colonne: c’era tanto da raccontare. Ma sapevo che chi mi leggeva spartiva con me la grande emozione. Questo era il giornalismo che io ho avuto la fortuna di praticare con Antonio Ghirelli.

Fece un titolo che testimoniava della sua esultanza. Attribuì la frase a me, naturalmente, che ero l’inviato. Il titolo a caratteri cubitali, era questo: Ho assistito alla prova dello sbarco sulla Luna. Semplice, semplice… L’idea di trasferire il suo giornale su di un piano di alta e divertita e colta informazione lo esaltava. Era questo il filo conduttore del suo mestiere ed era questo lo spirito che spartiva con coloro, tra i suoi giornalisti, che nutrivano la stessa interpretazione anche molto fantasiosa della professione. Era un fantastico maestro. Chi ne traeva profitto, ovviamente, erano le rotative che non lesinavano, ogni notte, il loro prepotente urlo.