Morte Rebellin / Martinello: «Basta parole, bisogna agire. Punire chi non rispetta le regole e lavorare con i giovani per cambiare mentalità»

Martinello
Silvio Martinello al Giro d'Italia 2021
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«Le parole non bastano più, bisogna agire». Troppo spesso infatti quando accadono disgrazie come quella di Davide Rebellin, il mondo si ferma a osservare e a proporre soluzione per far sì che incidenti simili non accadano mai più. «Nel momento in cui bisogna prendere l’iniziativa, ci impantaniamo. È un copione già visto e così non possiamo andare avanti». Silvio Martinello è rimasto come noi tutti molto colpito dalla vicenda e non può che ribadire ancora una volta quanto sia necessario iniziare a muoverci per cambiare la cultura, l’educazione e la formazione in Italia (e non solo).

«Tutti hanno la macchina – afferma Martinello – Ma ogni volta che la prendiamo, abbiamo la sensazione di ritrovarci nel far-west, dove nessuno rispetta le regole che ci sono. È un processo lento, perché ci vuole tempo a cambiare la mentalità delle persone, ma da qualche parte bisognerà pur iniziare. Le scuole e le famiglie in questo sono fondamentali».

Sono diversi i problemi che attanagliano le strade di tutti i giorni e tra i tanti c’è, senza dubbio, quello infrastrutturale. «Ci sono stati dei miglioramenti negli ultimi decenni – continua Silvio – Sono nate delle ciclabili, ma troppo spesso senza una vera progettualità. A volte sono più pericolose della strada perché ci ritroviamo macchine parcheggiate, cassonetti, rami, tratti interrotti senza logica. Sono fatte male e questo è il primo punto da risolvere».

E a questo si collega un secondo problema molto importante, la mancanza di sanzioni. «Non ci sono controlli e di conseguenza nessuno viene punito per il mancato rispetto delle regole. Molto spesso mi capita di vedere per ore auto in sosta sulle ciclabili, dove sono i carri attrezzi? Dov’è la polizia municipale?. Se vogliamo cambiare la mentalità dell’italiano, bisogna fargli capire che se sbaglia deve pagare, così la prossima volta ci pensa due volte prima di rifare lo stesso errore».

Alcune città hanno adottato il limite di 30 chilometri orari nel centro cittadino. «È vero, anche nella mia Padova c’è il limite, ma nessuno lo rispetta perché non ci sono autovelox o pattuglie. Si tratta di una misura giusta, che aiuterebbe a ridurre i rischi, ma così non serve a nulla».

Queste idee però sembrano non riflettere la tendenza del nuovo governo che ha addirittura azzerato i fondi per la costruzione delle ciclabili. «E qui torniamo al discorso di prima. Tutti parlano, mostrano vicinanza davanti alle telecamere o sui social, ma poi non agiscono. Anzi, cancellano anche quelle pochissime misure pensate per migliorare la sicurezza stradale. Così non andiamo da nessuna parte».

Non può mancare poi un confronto con l’estero. «Siamo un paese arretrato e non civile su questi temi. Per questo motivo ne risente anche il turismo, che è alla base dalla nostra economia. Uno straniero che vuole pedalare in Italia ci pensa due volte prima di venire effettivamente qui, si chiede se tornerà mai a casa sano e salvo. Guardiamo la Spagna e prendiamo il caso dei professionisti: vanno tutti lì non per il clima, che troverebbero anche in Italia, ma per la sicurezza, l’attenzione e il rispetto che c’è nei confronti del ciclista».

A proposito di professionismo. I rischi in strada convincono sempre più genitori a non spingere i propri figli verso il ciclismo, perdendo così la possibilità di trovare il campione del domani. «Questo è un trend partito già tempo fa. Non avremo più ciclisti, altro che squadra World Tour. Le medaglie sono importanti, ma chi gestisce il ciclismo italiano dovrebbe guardare alla base per costruire il futuro».